venerdì 29 maggio 2020

"Psiche, scuola e società ai tempi del Covid19", un'intervista al dottor Marco Paolemilli

Eleonora Bertolino, insegnante e giornalista, ci fornisce questa interessante intervista al dottor Marco Paolemilli, Psichiatra e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale, Dottore di Ricerca in Neuroscienze clinico sperimentali e Psichiatria sul tema riportato nel titolo: "Psiche, scuola e società ai tempi del COVID-19"


Mascherine, guanti, distanziamento sociale: questi i tre slogan che ormai da qualche settimana si possono leggere ossessivamente in ogni angolo d’Italia, dalle strade ai cartelli fuori dai negozi, dai ristoranti e bar ad ogni luogo di aggregazione sociale. L’Italia è ripartita a rilento, si sta piano piano risollevando da un incubo durato tre mesi ma che ancora non ha fine: la fase due si porta dietro problematiche economiche, sociali e psicologiche che solo ora stanno affiorando in tutta la loro tragicità.

Ogni settore della società è stato sconvolto e si è dovuto riorganizzare in qualche modo con conseguenze spesso deleterie per l’intero popolo italiano: dalle attività in proprio alle aziende, dallo sport alla cultura, dalla scuola al divertimento ma non solo. Ognuno di noi ha subito uno stravolgimento totale della propria vita che ci ha cambiati per sempre. Cosa ne sarà di noi esseri umani abituati alla totale libertà e obbligati, da tempo, a seguire regole ferree per la salvaguardia delle nostre vite? Cosa è cambiato realmente? E ancora…Cosa accadrà nell’immediato futuro alla società?

Abbiamo voluto indagare meglio e chiedere un parere medico a chi, di mente e di psichiatria, se ne intende molto bene.

Il Dottor Marco Paolemili è Psichiatra e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale, Dottore di Ricerca in Neuroscienze clinico sperimentali e Psichiatria, docente del corso di Psichiatria nel Corso di Scienze Infermieristiche dell'Università di Roma "Tor Vergata",  Dirigente Medico di I livello presso il Dipartimento di Salute Mentale della ASL Roma 3, Presidente e fondatore dalla Onlus "Mens Sana" per la salute e il benessere mentale, che si occupa di assistenza psicologica e psichiatrica per minori, famiglie e adulti.La sua esperienza come Psichiatra e Psicoterapeuta riguarda in modo particolare i disturbi dell'umore, i disturbi d'ansia, le dipendenze, i disturbi psicotici, e i disturbi legati all'invecchiamento (memoria, demenza, depressione dell'anziano).

Dal mese di marzo 2020 la vita di molti italiani è stata totalmente stravolta. Dalla totale libertà si è passati ad una sorta di arresto domiciliare complessivo. Il popolo intero si è ritrovato chiuso in casa a causa della pandemia causata dal Covid19, questo strano e nuovo virus che è piombato in Europa improvvisamente e senza preavviso (o almeno così ci hanno informati).

Se all’inizio il popolo italiano ha accettato senza problemi il periodo di reclusione forzata, riscoprendo il valore della famiglia, del focolare domestico, la voglia di cucinare, stare con i figli, i cartelli “Ce la faremo, andrà tutto bene, distanti ma vicini”, i canti sul balcone, il senso di unione ravvisabile su tutti i social, dopo qualche settimana tutto questo per molti si è trasformato in prigionia. L’assenza di libertà totale, la privazione dello sport, il divieto di vedere amici, parenti, congiunti: pian piano tutto è diventato un incubo.

Le chiedo, dunque, quali siano state le prime conseguenze a livello psicologico di questa “detenzione” forzata: perché il popolo all’inizio ha reagito bene ma con il tempo tutto è cambiato? Quali processi si sono innescati nella psiche?

«Gli esseri umani non sono fatti per passare tutto il loro tempo nella propria abitazione, siamo degli animali sociali, fin dall’alba dei tempi abbiamo basato la nostra sopravvivenza e la nostra incredibile evoluzione sui rapporti sociali. Basti pensare che il ritiro sociale, la riduzione o l’annullamento dei rapporti sociali sono sintomi di gravi patologie psichiatriche, come le psicosi o la depressione maggiore. La nostra esistenza, così come il nostro cervello, sono stati privati di stimoli fondamentali in questo periodo di lockdown, andando incontro a disagio psicologico. Lo stress psicologico delle restrizioni, accompagnato alla comunicazione istituzionale e non, riguardo alla pandemia, caratterizzata da messaggi inquietanti, discordanti, catastrofici hanno prodotto emozioni e sentimenti di ansia, paura, rabbia e impotenza. Non abbiamo avuto certezze, soprattutto perché gli esperti non avevano ancora compreso sufficientemente come si sarebbe evoluta la situazione dei contagi e di conseguenza neanche le istituzioni hanno potuto reagire con provvedimenti che infondessero sicurezza o percezione di capacità di gestire l’emergenza. La paura è una emozione molto potente, che se non controllata può portare a conseguenze molto gravi, personali e sociali. Se parti per una corsa senza sapere quando questa finirà, è inevitabile non sapere come dosare le forze. Il tempo passava, la situazione non migliorava, risposte ferme non ne arrivavano. Le energie così, intese come speranza, unione, collaborazione, si sono esaurite in fretta e hanno lasciato il posto alla fisiologica risposta che ha l’essere umano in una fase di pericolo: ansia. La mancanza, di conseguenza, di stimoli positivi ha portato alla consapevolezza dell’impotenza e della impossibilità di progetti futuri: depressione».

Parliamo di famiglie e scuola. Immediatamente dopo lo scoppio della pandemia, è iniziata questa famosa DaD, didattica a distanza. Tanti gli errori commessi all’inizio, la totale confusione tra genitori e docenti, la dispersione degli alunni. Dopo le difficoltà iniziali, le cose sono migliorate ma sono aumentanti i disagi familiari: molti genitori, infatti, si lamentano che i figli sono stressati, che non riescono a seguire le lezioni online, che stanno subendo, in alcuni casi, danni psicologici. Quanto c’è di vero nelle parole dei genitori? E in quelle dei docenti? Cosa è stato veramente sbagliato sin dall’inizio in questa forma di insegnamento innovativa? Troppa permissività, tanta confusione, poca esperienza da parte degli insegnanti o dei genitori? Se si può parlare di colpe, a chi attribuirle? Alle famiglie, ai docenti o alle tecnologie? Come cambierà la scuola italiana dopo tutto questo?

«I bambini hanno una grande capacità di memorizzare e apprendere, ma anche una bassa durata dell’attenzione. La didattica a distanza, che esiste da molti anni, è stata progettata e attuata con successo per gli studenti più grandi. Le università prestigiose hanno ottimi corsi a distanza e anche le scuole superiori più avanzate ne avevano già ideati da anni. Per individui più piccoli però, l’ambiente scolastico, l’interazione sociale è stata sempre fondamentale per l’apprendimento. La capacità di attenzione è, appunto, il problema. Impossibile pensare che un bambino di tre anni, ma anche uno di otto, possa stare ore al computer (tra l’altro non abbiamo sempre detto che non era salutare passare troppo tempo davanti a uno schermo?). Già conoscevamo i limiti della didattica formale tradizionale, trasportarla e veicolarla poi attraverso uno schermo era un disastro annunciato. Programmi di educazione a distanza per i più piccoli dovevano essere creati con contenuti interattivi, con stimoli diversi, realtà aumentata, giochi. Lo sapevamo già. Di cartoni animati, programmi televisivi, app per smartphone e tablet e per PC di questo genere ne esistono da diversi anni e funzionano bene. Pensare di mettere una telecamera davanti a una insegnante e trasformare la cucina o la camera da letto dell’alunno in una scuola, è impensabile. Non ci sono colpe da attribuire a qualcuno in particolare. Nessuno si aspettava una pandemia di questo genere e anche con più lungimiranza non saremo stati in grado di organizzare un sistema complesso in poche settimane. Probabilmente se la scuola italiana fosse stata più al passo con i tempi (le statistiche internazionali sono anni che ci avvisano di come stiamo perdendo terreno nell’istruzione, perché abbiamo sistemi di apprendimento obsoleti, non al passo con i tempi) sarebbe stato più facile introdurre questi cambiamenti forzati. La scuola cambierà se avrà la volontà e l’umiltà di andare a guardare le eccellenze che già abbiamo nel nostro paese e se applicherà quello che si fa in altri paesi europei».

Il Covid19 ha messo in ginocchio l’intera economia italiana. I primi suicidi non sono tardati ad arrivare. Sui social ovunque si intravedono dirette di persone disperate pronte a commettere reati. Per non parlare dell’aspetto sociale: per le imminenti riaperture si parla di divisioni, limitazioni e distanze poco facili da rispettare, in ogni settore. Cosa ci dobbiamo aspettare? Forse il coronavirus ha semplicemente innescato un malessere che da anni serpeggiava nella società? Quali sono e quali saranno i danni e le conseguenze a livello sociale, antropologico, psicologico e psichiatrico causati dalla pandemia? Come cambierà l’uomo dopo tutto questo?

«I disturbi depressivi legati alla perdita del lavoro e alle difficoltà economiche sono già emersi e saranno più evidenti nei prossimi mesi. Chi uccide il Covid19? Le persone che hanno già situazioni di fragilità di alcuni organi e sistemi immunitari compromessi. L’Italia era già compromessa prima dell’avvento del virus e subirà danni perché non ha “difese immunitarie” e sistemi di compenso in grado di far fronte alla situazione. I reati sono già aumentati, in questo periodo di difficoltà economica, in mancanza di aiuti adeguati da parte dello Stato, molte persone si sono dovute rivolgere agli usurai, rafforzando così ulteriormente la malavita organizzata. Le risorse economiche che il paese dovrà mettere in campo, proprio a causa di un sistema già in crisi, dovranno essere ingenti, ma non mi pare che il Governo stia prendendo in considerazione di riallocare risorse che ha (paghiamo le tasse più alte del mondo) facendo perdere privilegi a chi già ne ha. Vi saranno più disturbi psichiatrici da trattare, a causa di queste difficoltà sociali ed economiche, ma il sistema sanitario nazionale, nelle condizioni in cui è, non sarà in grado di affrontarli da solo. Per fortuna esiste il terzo settore, esistono tanti professionisti privati pronti a intervenire, molte persone si rivolgeranno a loro e questo salverà la società. Non credo tuttavia che l’uomo cambierà molto, forse rispetteremo di più alcune norme igieniche e sarà un bene perché si diffonderanno meno malattie, ma di cambiamenti esistenziali non ne vedremo molti. Con il tempo le restrizioni e i distanziamenti spariranno, torneremo a fare una vita normale. Tutto sommato è giusto così, questa, come tutte le altre pandemie, aiuteranno la scienza e la medicina a trovare nuove soluzioni, miglioreranno la nostra vita senza che noi (a parte gli addetti ai lavori) ce ne accorgeremo. È giusto che sia così. Quale insegnamento dovremmo trarre da questo brutto periodo? Che la vita va vissuta attimo dopo attimo, che il futuro non è prevedibile e che rimandare a domani le cose a cui teniamo può essere una cattiva scelta».

 


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