mercoledì 21 ottobre 2020

“Le scuole devono restare chiuse!”: per quanto ancora dovremo ascoltare questa litania?

Non esiste post sui social riferito all’emergenza COVID a scuola senza commenti, da parte di alcuni insegnanti, che riportano la solita litania: “Le scuole devono chiudere!” o ancora: “Non dovevano riaprire proprio”. Talvolta si aggiunge l’apocalittico “siamo carne da macello”, condito da altri improperi rivolti a ministri e governanti vari. 

Può essere uno sfogo di frustrazione, e ci può stare, uno di quelli che dici ma non pensi. Può essere, ma quasi mai è così, perché ci sono colleghi che difatti sostengono a spada tratta, in più sedi e in più modi, questo principio avulso da qualsiasi realtà e dai basilari principi di buonsenso. 

Un atteggiamento che denota una autoreferenzialità di cui non andare per nulla orgogliosi, quella di chi ha cura del suo orticello, della sua salute, della sua condizione economica e dimentica totalmente quella degli altri e, soprattutto, sembra non vedere affatto come le nostre sorti siano irrimediabilmente interconnesse. Insomma, è l’atteggiamento del navigante che sta comodo e tranquillo a poppa, mentre a prua la nave imbarca acqua e inizia ad inabissarsi. 

Chiudere le scuole, lasciare i bambini a casa, metterci in sicurezza. Chi non vuole per sé e per gli altri la sicurezza? 

Ma la realtà è diversa e più complicata, se solo si facesse lo sforzo di vedere qualche centimetro oltre il proprio naso. 

La scuola non può chiudere in modo indiscriminato sull’intero territorio nazionale per due ragioni. La prima è di ordine pedagogico-didattico, ed è la più importante: la scuola non può, e non deve chiudere, perché è comunità, è relazione, è sapere e competenza costruiti; è collaborazione e interazione, è successo e affanno, è gioia e fatica in un contesto umano complesso e variegato. È incontro proficuo e fecondo, che coinvolge tutti e 5 i sensi. Per questo non può essere paragonata, parlando di contagi, al pub o alla discoteca. È ben altra cosa, molto più importante, come faceva notare Gustavo Zagreblesky due giorni fa. Credo che su questo si possa essere universalmente d’accordo.


La seconda delle due ragioni è molto più pratica e funzionale, eppure è senza dubbio di importanza notevole: la scuola è il luogo che ospita 9 milioni di studenti ogni giorno, mentre i loro genitori (18 milioni, più o meno) vanno a lavorare. Tenere chiusa la scuola, soprattutto quella del I ciclo, significa di fatto impedire a milioni di mamme e papà di uscire la mattina per andare a produrre; significa metterli in condizione di non poter portare a casa le risorse del loro sostentamento, privando il sistema produttivo del “Paese Italia” di lavoro e di PIL. 

Qualche purista obietta: “Uh, ma la scuola non è mica un’agenzia di baby sitting!”. Ma dai, davvero? Verrebbe da rispondere con stizza. Ma è meglio mantenere la calma e ragionare: sì, certo, non è una agenzia di baby sitting, ma ha anche questa indubbia funzione collaterale: milioni di lavoratori sanno perfettamente che mentre i loro figli imparano a leggere, scrivere e far di conto sono anche ospitati e vigilati in un contesto educativo, e questo permette loro di dedicarsi alla nobile arte del lavoro. 

Allo stesso modo, durante un prolungato ricovero ospedaliero di un malato i parenti stretti possono assolvere nel contempo ad altre mansioni, senza per questo che si declassino le strutture ospedaliere al ruolo di semplici ospizi.

Pare invece che l’uomo del “particulare”, citando Guicciardini, afferri con le unghie le condizioni che mettono in sicurezza la propria salute, senza curarsi se agli altri sono garantiti i suoi stessi diritti. Che importa se, chiudendo le scuole, milioni di persone, in famiglie per lo più nucleari, dovranno accudire i loro figli rinunciando al lavoro e provocando un impronunciabile e apocalittico (questo sì) crollo economico della nazione? 

Il paradosso sarebbe quello di continuare a distanza ad edificare cittadini e persone di domani (ammesso e non concesso questo sia possibile dietro i monitor di un pc), mentre si compromettono il tessuto economico e sociale di quello stesso domani. È Il paradosso. 

Sembra che tutto questo non importi affatto agli insegnanti che reclamano per sé la sicurezza.

La realtà è che ci troviamo in una situazione straordinaria, che ha provocato e continua a provocare un crollo economico spaventoso, che compromette il tessuto sociale e relazionale delle persone, che ci obbliga a necessarie privazioni di libertà che costano fatica; ecco, in un contesto del genere ad ognuno spetta la sua parte, ad ognuno tocca quella componente di rischio che serve per salvaguardare più che si può la collettività, le strutture sociali e, soprattutto, quelle economiche su cui, ci piaccia o no, poggia tutto il resto. E tocca anche agli insegnanti. Tocca anche a me, e di certo ne farei volentieri a meno. 

Un conto è esigere il più possibile condizioni di sicurezza, ed è un diritto assoluto, altro conto è chiedere dei privilegi che altri non hanno, o chiederli negando diritti ad altri. Questo no, non possiamo farlo.

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