Visualizzazione post con etichetta Storie per educare. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Storie per educare. Mostra tutti i post

lunedì 3 ottobre 2016

"I giorni perduti" di Dino Buzzati - Educare Narrando


Bellissimo racconto, contenuto in una raccolta di Dino Buzzati (180 racconti), dall'alto valore educativo. Una storia piena di significato sul tempo sprecato, sulle occasioni perse, sulle attribuzioni di priorità sbagliate. Buona lettura.

I giorni perduti
.
Qualche giorno dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernst Kazirra, rincasando, avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle usciva da una porticina secondaria del muro di cinta, e caricava la cassa su di un camion.
Non fece in tempo a raggiungerlo prima che fosse partito. Allora lo inseguì in auto. E il camion fece una lunga strada, fino all'estrema periferia della città, fermandosi sul ciglio di un vallone.
Kazirra scese dall'auto e andò a vedere. Lo sconosciuto scaricò la cassa dal camion e, fatti pochi passi, la scaraventò nel botro; che era ingombro di migliaia e migliaia di altre casse uguali.
Si avvicinò all'uomo e gli chiese:
- Ti ho visto portar fuori quella cassa dal mio parco. Cosa c'era dentro? E cosa sono tutte queste casse?
Quello lo guardò e sorrise:
- Ne ho ancora sul camion, da buttare. Non sai? Sono i giorni.
- Che giorni?
- I giorni tuoi.
- I miei giorni?
- I tuoi giorni perduti. I giorni che hai perso. Li aspettavi, vero? Sono venuti. Che ne hai fatto? Guardali, intatti, ancora gonfi. E adesso?
Kazirra guardò. Formavano un mucchio immenso. Scese giù per la scarpata e ne aprì uno.  C'era dentro una strada d'autunno, e in fondo Graziella la sua fidanzata che se n'andava per sempre. E lui neppure la chiamava.
Ne aprì un secondo. C'era una camera d'ospedale, e sul letto suo fratello Giosuè che stava male e lo aspettava. Ma lui era in giro per affari.
Ne aprì un terzo. Al cancelletto della vecchia misera casa stava Duk il fedele mastino che lo attendeva da due anni, ridotto pelle e ossa. E lui non si sognava di tornare.
Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco. Lo scaricatore stava diritto sul ciglio del vallone, immobile come un giustiziere.
- Signore! - gridò Kazirra. - Mi ascolti. Lasci che mi porti via almeno questi tre giorni. La supplico. Almeno questi tre. Io sono ricco. Le darò tutto quello che vuole.
Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per indicare un punto irraggiungibile, come per dire che era troppo tardi e che nessun rimedio era più possibile. Poi svanì nell'aria, e all'istante scomparve anche il gigantesco cumulo delle casse misteriose. E l'ombra della notte scendeva.

Dino Buzzati, "I giorni perduti", in 180 racconti, Milano, Mondadori.


-------------------

domenica 12 aprile 2015

Lettera di Albert Einstein alla figlia (?) - Educare Narrando


Probabilmente questa lettera è un falso. Così viene definita da alcuni siti sul web ed effettivamente lo sembra proprio: in alcuni passaggi sembra strano che Einstein possa aver scritto una lettera del genere, ad esempio quando richiama la sua formula della relatività. Eppure questo testo è lo stesso ricco di significato e molte delle frasi che contiene sono in ogni caso delle bellissime intuizioni esistenziali e delle ottime lezioni di vita.
Ciò vuol dire che se anche non fosse in celebre fisico l'autore di questo testo, vale comunque la pena leggerlo.

Quando proposi la teoria della relatività, pochissimi mi capirono, e anche quello che rivelerò a te ora, perché tu lo trasmetta all’umanità, si scontrerà con l’incomprensione e i pregiudizi del mondo.
Comunque ti chiedo che tu lo custodisca per tutto il tempo necessario, anni, decenni, fino a quando la società sarà progredita abbastanza per accettare quel che ti spiego qui di seguito.

Vi è una forza estremamente potente per la quale la Scienza finora non ha trovato una spiegazione formale.

È una forza che comprende e gestisce tutte le altre, ed è anche dietro qualsiasi fenomeno che opera nell’universo e che non è stato ancora individuato da noi.
Questa forza universale è l’Amore.
Quando gli scienziati erano alla ricerca di una teoria unificata dell’universo, dimenticarono la più invisibile e potente delle forze. 

L’amore è Luce, visto che illumina chi lo dà e chi lo riceve. L’amore è Gravità, perché fa in modo che alcune persone si sentano attratte da altre. L’amore è Potenza, perché moltiplica il meglio che è in noi, e permette che l’umanità non si estingua nel suo cieco egoismo.
L’amore svela e rivela. Per amore si vive e si muore. Questa forza spiega il tutto e dà un senso maiuscolo alla vita. Questa è la variabile che abbiamo ignorato per troppo tempo, forse perché l’amore ci fa paura, visto che è l’unica energia dell’universo che l’uomo non ha imparato a manovrare a suo piacimento.
Per dare visibilità all’amore, ho fatto una semplice sostituzione nella mia più celebre equazione.

Se invece di E = mc2 accettiamo che l’energia per guarire il mondo può essere ottenuta attraverso
l’amore moltiplicato per la velocità della luce al quadrato, giungeremo alla conclusione che l’amore è la forza più potente che esista, perché non ha limiti.
Dopo il fallimento dell’umanità nell’uso e il controllo delle altre forze dell’universo, che si sono rivolte contro di noi, è arrivato il momento di nutrirci di un altro tipo di energia.
Se vogliamo che la nostra specie sopravviva, se vogliamo trovare un significato alla vita, se vogliamo salvare il mondo e ogni essere senziente che lo abita, l’amore è l’unica e l’ultima risposta.

Forse non siamo ancora pronti per fabbricare una bomba d’amore un artefatto abbastanza potente da distruggere tutto l’odio, l’egoismo e l’avidità che affliggono il pianeta.

Tuttavia, ogni individuo porta in sé un piccolo ma potente generatore d’amore la cui energia aspetta solo di essere rilasciata.
Quando impareremo a dare e ricevere questa energia universale, Lieserl cara, vedremo come l’amore vince tutto, trascende tutto e può tutto, perché l’amore è la quintessenza della vita.
Sono profondamente dispiaciuto di non averti potuto esprimere ciò che contiene il mio cuore, che per tutta la mia vita ha battuto silenziosamente per te.
Forse è troppo tardi per chiedere scusa, ma siccome il tempo è relativo, ho bisogno di dirti che ti amo e che grazie a te sono arrivato all’ultima risposta.

Tuo padre Albert Einstein



giovedì 15 gennaio 2015

Cos'è l'amore per i bambini: commovente - Educare Narrando


Considerazioni sull'amore da parte di bambini dai 4 agli 8 anni: tutta l'innocenza e la verità in parole spontanee e dolci.

1. L’amore è quando esci a mangiare e dai un sacco di patatine fritte a qualcuno senza volere che l’altro le dia a te.(Gianluca, 6 anni)
2. Quando nonna aveva l’artrite e non poteva mettersi più lo smalto, nonno lo faceva per lei anche se aveva l’artrite pure lui. Questo è l’amore. (Rebecca, 8 anni)
3. L’amore è quando la ragazza si mette il profumo, il ragazzo il dopobarba, poi escono insieme per annusarsi. (Martina, 5 anni)
4. L’amore è la prima cosa che si sente, prima che arrivi la cattiveria. (Carlo, 5 anni)
5. L’amore è quando qualcuno ti fa del male e tu sei molto arrabbiato, ma non strilli per non farlo piangere. (Susanna, 5 anni)
6. L’amore è quella cosa che ci fa sorridere quando siamo stanchi. (Tommaso, 4 anni)
7. L’amore è quando mamma fa il caffè per papà e lo assaggia prima per assicurarsi che sia buono. (Daniele, 7 anni)
8. L’amore è quando mamma dà a papà il pezzo più buono del pollo. (Elena, 5 anni)
9. L’amore è quando il mio cane mi lecca la faccia, anche se l’ho lasciato solo tutta la giornata. (Anna Maria, 4 anni)
10. Non bisogna mai dire “Ti amo” se non è vero. Ma se è vero bisogna dirlo tante volte. Le persone dimenticano. (Jessica, 8 anni)



martedì 18 novembre 2014

La Pelle Color Ciocciolato: una fiaba sul perché abbiamo colori della pelle diversi - Educare Narrando

Segue una favola di Ettore Fasolini, tratta dal libro "Il gigante della foresta e altre favole del sud-est asiatico". Si tratta di una bellissima favola sul perché esistono sulla Terra persone con diverso colore della pelle. Tutte plasmate dalla stessa mano divina, cambia soltanto il tempo di esposizione al sole; ecco perché alcuni sono più scuri, altri più chiari, altri meticci.

Il mondo era ancora giovane, allora, appena creato, e gli uomini non lo abitavano ancora.
Ogni giorno Magbabaya, il dio della vita, guardava giù sulla terra dalla sua casa nel cielo. "Oh, come la terra appare solitaria! Così grande e così deserta!". 

Un giorno il dio della vita ebbe un'idea luminosa: "Debbo creare della gente che viva sulla terra". Il dio Magbabaya partì dalla sua casa nel cielo e scese sulla terra: qui giunto prese un pugno di argilla e lo mescolò con dell'acqua.

 Con quella creta modellò alcuni esseri umani, poi chiamò il sole perché li asciugasse. Il Dio tornò a casa sua e passò tutto il giorno giocando con i fiori e gli uccelli del cielo. A sera, rientrando, il dio Magbabaya si ricordò ad un tratto degli uomini lasciati asciugare al sole. Ritornò quindi sulla terra il più presto che potè e fece tramontare il sole, ma scoprì che i pezzi di terra erano rimasti troppo a lungo esposti ed erano diventati neri come il carbone. 

Il dio della vita scosse la testa: "Debbo provare un'altra volta, ma questa volta starò più attento e non li lascerò troppo a lungo al sole". Il mattino seguente Magbabaya si mise di nuovo al lavoro e modellò altre statue di uomini e di donne, poi fece sorgere il sole . Questa volta però fece attenzione perché non vi rimanessero a lungo e lo fece tramontare subito . Ma anche questa volta il dio della vita non fu troppo soddisfatto della sua opera: infatti le statue erano rimaste troppo pallide, bianche come la farina. 

"Domani modellerò altre statue e starò attento che arrivino al giusto punto di cottura prima di toglierle dal sole". Il giorno seguente ancora una volta il dio mescolò terra e acqua, le lavorò e ne trasse esseri umani. Poi con molta cautela li espose al sole. Di tanto in tanto Magbabaya girava un poco le statue in modo che prendessero un bel colore marrone come il cioccolato. 

Quando gli sembrò che il sole si stesse facendo troppo ardente il dio Magbabaya fece venire una nuvola dal cielo e rinfrescò le statue con della leggera pioggia , poi la brezza le asciugò lentamente. Quando il lavoro fu terminato, il dio raccolse tutte le statue modellate dalle sue mani. Le statue bianche, quelle nere e quelle marroni.

Le osservò per bene e se ne compiacque molto. "Sono tutte perfette", esclamò con orgoglio il dio. "Sono tutte bellissime, ognuna con la sua diversità". 

Alla fine Magbabaya soffiò nelle statue la vita e le sparse nelle varie regioni della terra. Ecco perché oggi nel mondo ci sono bianchi, neri e bruni. E fra tutti i popoli della terra i Filippini sono orgogliosi nei mostrare la loro pelle color del bronzo.

(Ettore Fasolini,  Il gigante della foresta e altre favole del sud est asiatico, Edizioni E.M.I.)



mercoledì 29 ottobre 2014

Socrate, I tre setacci - Educare Narrando

La storia che segue è attribuita al celebre filosofo Seneca. Serve davvero fare chiacchiere inutili nei confronti delle persone? Perché seminare zizzania con informazioni non vere, sentite qua e là e sparpagliate dal passaparola? Socrate, o chi per lui (ammettendo anche che l'aneddoto che segue non sia il suo), ci dà dei consigli su come evitare di cadere nella trappola del pettegolezzo e delle parole inutili che creano confusione tra le persone e a sé stessi... attraverso tre semplici setacci...

Mentre Socrate è seduto in una piazza, un uomo gli si avvicina,
in preda a visibile eccitazione.

“Buongiorno Socrate, sai cosa ho appena saputo?”
“No”, risponde il saggio, “come potrei saperlo?”

L’uomo, impaziente di condividere il suo segreto, si accinge
a raccontare la sua storia. Ma Socrate lo interrompe:
“ Aspetta un momento! Prima di cominciare, puoi dirmi se hai
fatto passare ciò che vuoi riferirmi attraverso i tre setacci?”

“I tre setacci?”, chiede l’altro stupito. “Ma non so di che cosa
stai parlando!”
“Il primo setaccio è quello della bontà.
Quello che vuoi raccontarmi è una cosa buona?”

“Ebbene, non ci avevo pensato. Aspetta... no, non credo che
Si possa dire che si tratta di una cosa buona”.
“Allora, continua il filosofo, se non è una cosa buona, l’hai
almeno fatta passare per il secondo setaccio, quello della verità?
Quello che vuoi dirmi è vero?”

“Devo confessare che non ne sono sicuro”, risponde l’altro
sempre più imbarazzato. “L’ho saputo da un amico che l’ha
sentito anche lui da…”

“Quindi non sai se è vero”.
“No, per dirla sinceramente, non ne so nulla". Socrate allora
continua:
“Se quello che vuoi dirmi non è una cosa buona, né sicuramente
vera, almeno passa attraverso il terzo setaccio? E’ utile che io
venga a saperla?”
“Insomma, non credo che sia davvero utile”, risponde l’altro,
a disagio.
“Allora ascolta! Se quello che vuoi dirmi non è una cosa buona,
né vera, né utile, preferisco non ascoltarla”.




sabato 18 ottobre 2014

Le lenzuola sporche - Educare Narrando

Forse è proprio vero: vediamo il mondo con le lenti che indossiamo. Il mondo ci pare più o meno bello, o giusto, o vero, in base ai criteri con cui lo interpretiamo. Non esistono gli eventi in sé, diceva Epitteto, ma l'interpretazione che noi diamo agli aventi.
E questa interpretazione corrisponde ai criteri di cui siamo in possesso.
Il racconto che segue ne è forse un esempio.

Una giovane coppia di sposi novelli andò ad abitare in una zona molto tranquilla della città. 
Una mattina, mentre bevevano il caffè, la moglie si accorse, guardando attraverso la finestra, che una vicina stendeva il bucato sullo stendibiancheria. 
"Guarda che sporche le lenzuola di quella vicina! 
Forse ha bisogno di un altro tipo di detersivo... 
Magari un giorno le farò vedere come si lavano le lenzuola!" 


Il marito guardò e rimase zitto. 
La stessa scena e lo stesso commento si ripeterono varie volte, mentre la vicina stendeva il suo bucato al sole e al vento. 

Dopo un mese, la donna si meravigliò nel vedere che la vicina stendeva le sue lenzuola pulitissime, e disse al marito: 
"Guarda, la nostra vicina ha imparato a fare il bucato! 
Chi le avrà fatto vedere come si fa?" 

Il marito le rispose:
"Nessuno le ha fatto vedere; semplicemente questa mattina, io mi sono alzato più presto e, mentre tu ti truccavi, ho pulito i vetri della nostra finestra!" 

Così è nella vita. 
Tutto dipende dalla pulizia della finestra attraverso cui osserviamo i fatti. 
Prima di criticare, probabilmente sarà necessario osservare se abbiamo pulito a fondo il nostro cuore per poter vedere meglio...


venerdì 3 ottobre 2014

W.A.Mozart, Gioia di vivere - Educare Narrando


Siamo abituati ad ascoltarne la sua musica, ad apprezzare i suoi concerti e componimenti. Talvolta ci ritroviamo a fischiettare le sue melodie senza accorgercene e lo associamo al talento, al genio, al prodigio musicale.
Pare dalla sua biografia che fosse un giocherellone scapestrato, che diventava improvvisamente serio ed assorto solo quando si trovava con uno strumento musicale tra le mani.

Eppure è poco conosciuto per le sue riflessioni, i suoi pensieri, che esternava spesso nelle lettere scritte al padre, alla sorella.

Segue una sua bellissima riflessione sulla vita. Buona Lettura




Non vado mai a dormire senza pensare che, per quanto io sia giovane, il giorno dopo potrei non esserci più - e di tutte le persone che mi conoscono nessuno potrà dire che io abbia un modo di fare imbronciato o triste - e ringrazio tutti i giorni il Signore di questa beatitudine, che auguro di cuore a tutti gli uomini.


Wolfgang Amadeus Mozart al padre, 4 aprile 1787

giovedì 2 ottobre 2014

Natalia Ginzburg - Diamo troppa importanza al rendimento scolastico dei nostri figli - Educare Narrando


Segue un testo di Natalia Ginzburg, tratto dal libro "piccole virtù", in cui la celebre autrice si rivolge ai genitori, invitandoli a placare le ansie rispetto alla "piccola virtù del successo". Ciò che i figli, gli alunni, devono a loro stessi, e poi agli altri, è dare "il meglio del loro ingegno"; poco importa, poi, dove questo avvenga e in che direzione vada. 
Molto bello il testo che segue, da leggere e meditare.

Al rendimento scolastico dei nostri figli, siamo soliti dare un'importanza che è del tutto infondata. E anche questo non è se non rispetto per la piccola virtù del successo. Dovrebbe bastarci che non restassero troppo indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio.

Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la bandiera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta un'offesa. Allora i nostri figli, tediati, s'allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle loro proteste contro i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d'una ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni.

In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal principio dovrebbe esser chiaro che quello è un suo campo di battaglia, dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e illusorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, è necessario lasciargli intendere che non c'è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo aspettarci d'esser continuamente incompresi e misconosciuti, e di essere vittime d'ingiustizia: e la sola cosa che importa è non commettere ingiustizia noi stessi.
I successi o insuccessi dei nostri figli, noi li dividiamo con loro perché gli vogliamo bene, ma allo stesso modo e in egual misura come essi dividono, a mano a mano che diventano grandi, i nostri successi o insuccessi, le nostre contentezze o preoccupazioni. È falso che essi abbiano il dovere, di fronte a noi, d'esser bravi a scuola e di dare allo studio il meglio del loro ingegno. Il loro dovere di fronte a noi è puramente quello, visto che li abbiamo avviati agli studi, di andare avanti.

Se il meglio del loro ingegno vogliono spenderlo non nella scuola, ma in altra cosa che li appassioni, raccolta di coleotteri o studio della lingua turca, sono fatti loro e non abbiamo nessun diritto di rimproverarli, di mostrarci offesi nell'orgoglio, frustrati d'una soddisfazione.
Se il meglio del loro ingegno non hanno l'aria di volerlo spendere per ora in nulla, e passano le giornate al tavolino masticando una penna, neppure in tal caso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse quello che a noi sembra ozio è in realtà fantasticheria e riflessione, che, domani, daranno frutti.

Se il meglio delle loro energie e del loro ingegno sembra che lo sprechino, buttati in fondo a un divano a leggere romanzi stupidi, o scatenati in un prato a giocare a football, ancora una volta non possiamo sapere se veramente si tratti di spreco dell'energia e dell'impegno, o se anche questo, domani, in qualche forma che ora ignoriamo, darà frutti. Perché infinite sono le possibilità dello spirito.

Ma non dobbiamo lasciarci prendere, noi, i genitori, dal panico dell'insuccesso. I nostri rimproveri debbono essere come raffiche di vento o di temporale: violenti, ma subito dimenticati; nulla che possa oscurare la natura dei nostri rapporti coi nostri figli, intorbidarne la limpidità e la pace. I nostri figli, noi siamo là per consolarli, se un insuccesso li ha addolorati; siamo là per fargli coraggio, se un insuccesso li ha mortificati. Siamo anche là per fargli abbassare la cresta, se un successo li ha insuperbiti. Siamo per ridurre la scuola nei suoi umili ed angusti confini; nulla che possa ipotecare il futuro; una semplice offerta di strumenti, fra i quali forse è possibile sceglierne uno di cui giovarsi domani.

Quello che deve starci a cuore, nell'educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l'amore per la vita, né oppresso dalla paura di vivere, ma semplicemente in stato d'attesa, intento a preparare se stesso alla propria vocazione. E che cos'è la vocazione di un essere umano, se non la più alta espressione del suo amore per la vita?

giovedì 4 settembre 2014

"Alzati e fatti riconoscere" - Anthony De Mello - Educare Narrando

Riporto di seguito una storia di Anthony De Mello, gesuita, poi condannato dall'allora cardinale Ratzinger per le sue posizioni poco ortodosse. E' l'autore di molti libri e riflessioni, da molti è considerato uno dei padri del "pensiero positivo". Per meglio spiegare i suoi concetti, amava utilizzare apologhi e storielle da lui inventati. Celebre è quello "dell'aquila che si credeva un pollo". 
Quello che segue è uno dei suoi apologhi più famosi... e si commenta da sé: 

Per dire la verità così com'è ci vuole molto coraggio se si appartiene a un' istituzione.
Per sfidare l'istituzione stessa ci vuole ancora più coraggio. Fu questo che fece Gesù.
Quando Kruscev pronunciò la famosa denuncia dell'epoca staliniana, si dice che qualcuno, in parlamento, abbia esclamato: "Dov'eri tu, compagno Kruscev, quando tutte queste persone innocenti venivano massacrate?".
Kruscev smise di parlare, girò lo sguardo nella sala e disse: "Per favore, si alzi chi ha detto questo".

Ci fu grande tensione nella sala. Nessuno si alzò.

Allora Kruscev disse: "Bene, ora hai la risposta, chiunque tu sia. Io ero allora nella stessa identica posizione in cui tu ora ti trovi".

Gesù si sarebbe alzato.

mercoledì 2 luglio 2014

"La storia della matita" di Paulo Coelho - Educare narrando



Il brano che trovi di seguito è tratto da uno dei romanzi di Paulo Coelho. E' la storia di una matita, che in modo suo proprio lascia il segno e nel farlo ... si consuma. Buona lettura


Il bambino guardava la nonna scrivere una lettera.

Ad un certo punto, chiese: "Stai scrivendo una storia su di noi? E' per caso una storia su di me?".

La nonna smise di scrivere, sorrise e disse al nipote: "In effetti, sto scrivendo su di te. Tuttavia, più importante delle parole, è la matita che sto usando. Mi piacerebbe che tu fossi come lei, quando sarai grande."



Il bimbo osservò la matita, incuriosito e non vide niente di speciale.

"Ma è identica a tutte le matite che ho visto in vita mia!".

"Tutto dipende dal modo in cui guardi le cose. Ci sono 5 qualità in essa che, se tu riuscirai a mantenere, faranno sempre di te un uomo in pace con il mondo.


Prima qualità: tu puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una mano che guida i tuoi passi: questa mano noi la chiamiamo Dio e Lui ti dovrà sempre indirizzare verso la Sua volontà.

Seconda qualità: di quando in quando io devo interrompere ciò che sto scrivendo ed usare il temperino. Questo fa sì che la matita soffra un poco, ma alla fine essa sarà più affilata. Pertanto, sappi sopportare un po' di dolore, perché ciò ti renderà una persona migliore.


Terza qualità: la matita ci permette sempre d'usare una gomma per cancellare gli sbagli. Capisci che correggere qualcosa che abbiamo fatto non è necessariamente un male, ma qualcosa di fondamentale per mantenerci sulla retta via.

Quarta qualità: ciò che è davvero importante nella matita non è il legno o la forma esteriore, ma la grafite che è all'interno. Dunque fai sempre attenzione a quello che succede dentro di te.

Infine la quinta qualità della matita: lascia sempre un segno. Ugualmente, sappi che tutto ciò che farai nella vita lascerà tracce e cerca d'essere conscio d'ogni singola azione.


Per andare alla sezione "Educare Narrando",

con tutti i racconti selezionati per tematiche educative, 

CLICCA QUI

martedì 20 maggio 2014

"Manuale per scalare le montagne... " di Paulo Coelho - Educare Narrando

Propongo un testo davvero bello ed edificante per trovare la giusta motivazione che serve per le grandi e piccole imprese. Non sempre chi "ce la fa" ha più forza; spesso ne ha di meno, ma riesce a trovarla, ad alimentarla e a gestirla con un giusto atteggiamento.
 Ed ecco che qui di seguito Paulo Coelho ci dà dieci ottimi consigli per "scalare le montagne", poi... non resta che partire!

1] Scegli la montagna che desideri scalare: non lasciarti trascinare dai commenti degli altri, che dicono “quella è più bella”, o “questa è più facile”. Spenderai molta energia e molto entusiasmo per raggiungere il tuo obiettivo, quindi l’unico responsabile sei tu, e devi essere sicuro di ciò che fai.

2] Sappi come arrivare davanti alla montagna: molte volte, si vede la montagna da lontano – è bella, interessante, piena di sfide. Ma che succede quando tentiamo di arrivarci? Le strade le girano intorno, ci sono foreste fra te e il tuo obiettivo, quello che sulla mappa appare chiaro, nella vita reale è difficile. Quindi, tenta tutte le strade e tutti i sentieri, fino a che un giorno ti troverai davanti alla vetta che intendi raggiungere.

3] Apprendi da chi ha già fatto quel percorso: per quanto tu ti ritenga unico, c’è sempre qualcuno che ha avuto lo stesso sogno prima e ha finito per lasciare alcuni segnali che possono facilitarti nel cammino: luoghi dove legare la corda, viottoli, rami spezzati che facilitano la marcia. La camminata appartiene a te, e anche la responsabilità, ma non dimenticare che l’esperienza altrui è di grande aiuto.

4] I pericoli, visti da vicino, sono controllabili: quando cominci a salire sulla montagna dei tuoi sogni, presta attenzione all’ambiente circostante. Ci sono precipizi, è ovvio. Ci sono crepe quasi impercettibili. Ci sono rocce talmente levigate dalle tempeste che con il ghiaccio diventano scivolose. Ma se ogni volta saprai dove stai mettendo il piede, noterai le trappole e saprai aggirarle.

5] Il paesaggio cambia, quindi goditelo: sicuramente è necessario avere un obiettivo in mente, cioè arrivare alla cima.Ma, via via che si sale, si possono vedere altre cose, e non costa niente fermarsi di tanto in tanto e godersi un po’ il panorama circostante. Ad ogni metro conquistato, puoi vedere un po’ più lontano, e dunque approfittane per scoprire cose di cui non ti eri accorto.

6] Rispetta il tuo corpo: soltanto chi dà al corpo l’attenzione che esso merita riesce a scalare una montagna.Tu disponi di tutto il tempo che la vita ti dà, quindi cammina senza pretendere ciò che non può essere dato. Se procederai troppo in fretta, ti stancherai e rinuncerai a metà. Se procederai troppo lentamente, potrebbe calare la notte e tu sarai perduto. Goditi il paesaggio, approfitta dell’acqua delle sorgenti e dei frutti che la natura ti dà generosamente, ma continua a camminare.

7] Rispetta la tua anima: non continuare a ripeterti “ce la farò”. La tua anima lo sa, ciò di cui ha bisogno è usare la lunga camminata per poter crescere, estendersi sull’orizzonte e raggiungere il cielo. Una ossessione non è di alcun aiuto nel perseguimento dell’obiettivo e finisce per annullare il piacere della scalata. Ma attenzione: non continuare neppure a ripeterti “è più difficile di quanto pensassi”, perché questo ti farà perdere la forza interiore.

8] Preparati a percorrere un chilometro in più: il percorso fino alla cima della montagna è sempre maggiore di quanto tu pensi. Non sbagliarti, arriva sempre il momento in cui ciò che sembrava vicino è ancora molto lontano. Ma se sarai preparato ad andare oltre, questo non costituirà un problema.

9] Gioisci quando arrivi sulla sommità: piangi, batti le mani, urla ai quattro venti che ce l’hai fatta, lascia che il vento lassù in cima (perché lassù in cima è sempre ventoso) purifichi la tua mente, rinfreschi i tuoi piedi sudati e stanchi, ti apra gli occhi, ripulisca il tuo cuore dalla polvere. Che bello, ciò che prima era solo un sogno, un panorama lontano, ora fa parte della tua vita, ce l’hai fatta.

10] Fai una promessa: approfitta del fatto di avere scoperto una forza di cui ignoravi l’esistenza per dire a te stesso che, d’ora in poi, la userai per il resto dei tuoi giorni. Preferibilmente, prometti anche di scoprire un’altra montagna e di partire per una nuova avventura.

11] Racconta la tua storia: sì, racconta la tua storia. Dai il tuo esempio. Di’ a tutti che è possibile, e altri avranno il coraggio di affrontare le proprie montagne.

domenica 11 maggio 2014

"Se tornassi a vivere" di Enna Rombeck- Educare Narrando

Togliere il superfluo dalle nostre giornate e riempirle di essenziale: è questo il succo di questa bellissima riflessione di Enna Rombeck.
Scrollarci di dosso il superfluo non è solo un modo per essere più leggeri, senza un'inutile zavorra sopra le spalle; è anche un'opportunità da cogliere per avere più energie per la vita vera, vissuta, agita e pensata in tutto ciò che la riempie e le dà senso.


Se tornassi a vivere


Qualcuno mi ha chiesto giorni fa se, potendo rinascere, avrei vissuto la vita in maniera diversa. Lì per lì ho risposto di no, poi ci ho pensato un po' su e...

Potendo rivivere la mia vita, avrei parlato meno e ascoltato di più.

Non avrei rinunciato a invitare a cena gli amici soltanto perché il mio tappeto aveva qualche macchia e la fodera del divano era stinta.

Avrei mangiato briciolosi panini nel salotto buono e mi sarei preoccupata molto meno dello sporco prodotto dal caminetto acceso.

Avrei trovato il tempo di ascoltare il nonno quando rievocava gli anni della sua giovinezza.

Non avrei mai preteso, in un giorno d'estate, che i finestrini della macchina fossero alzati perché avevo appena fatto la messa in piega.

Non avrei lasciato che la candela a forma di rosa si sciogliesse, dimenticata, nello sgabuzzino. L'avrei consumata io, a forza di accenderla.

Mi sarei stesa sul prato con i bambini senza badare alle macchie d'erba sui vestiti.

Avrei pianto e riso di meno guardando la televisione e di più osservando la vita.

Avrei condiviso maggiormente le responsabilità di mio marito.

Mi sarei messa a letto quando stavo male, invece di andare febbricitante al lavoro quasi che, mancando io dall'ufficio, il mondo si sarebbe fermato.

Invece di non veder l'ora che finissero i nove mesi della gravidanza, ne avrei amato ogni attimo, consapevole del fatto che la cosa stupenda che mi viveva dentro era la mia unica occasione di collaborare con Dio alla realizzazione di un miracolo.

A mio figlio che mi baciava con trasporto non avrei detto: "Su, su, basta. Va' a lavarti che la cena è pronta".

Avrei detto più spesso: "Ti voglio bene" e meno spesso: "Mi dispiace"... ma soprattutto, potendo ricominciare tutto daccapo, mi impadronirei di ogni minuto...

lo guarderei fino a vederlo veramente... lo vivrei... e non lo restituirei mai più.

(Enna Rombeck)

sabato 3 maggio 2014

I tre spaccapietre ... - Educare Narrando

Tre spaccapietre svolgono lo stesso lavoro, ma ognuno di loro dà una chiave di lettura diversa all'attività che sta svolgendo, e questo fa la differenza: la diversa chiave di lettura, vale a dire l'interpretazione profonda di ciò che si fa, ha il potere di renderci felici o tristi, soddisfatti o inappagati. Non esistono dunque eventi in sé, ma esiste l'interpretazione che noi diamo degli stessi eventi.

Si narra che all'epoca della costruzione del Duomo di Milano un pastore, entrato in città, guardasse ogni cosa con occhi stupiti. Vide uomini che spaccavano grosse pietre con possenti martelli.

Si avvicinò ad uno di quegli uomini e chiese: "Dimmi, che stai facendo?". Lo spaccapietre terse il sudore con il grembiale e rispose. "Non vedi? Spacco pietre". E riprese a lavorare.


Più innanzi, pose la stessa domanda ad un altro spaccapietre. Questi, con fare gentile, posò il martello e rispose: "Non vedi? Lavoro per guadagnare il pane per me e la mia famiglia".


Infine il pastore si rivolse ad un terzo spaccapietre, uomo forte e potente che lavorava di gran lena. Costui, alla stessa domanda, aprì le braccia in un gesto che indicava tutto il suo entusiasmo per il lavoro che stava compiendo: "Non vedi?" - rispose - "Aiuto a costruire una cattedrale, per la gloria di Dio".


sabato 12 aprile 2014

Storie per crescere ed educare: Il Pesciolino d'oro di A.S. Pushkin - Educare Narrando

Il pesciolino d'oro - Racconto di A.S. Pushkin (poeta, scrittore, saggista e drammaturgo russo)

La semplicità di un pescatore, l'avidità di una vecchia, il senso di gratitudine e l'importanza della propria libertà personale: caratteri e temi contenuti nella storia che segue, utile per discussioni in classe e riflessioni.

Sul mare-oceano, sull'isola di Bujan, c'era una volta una piccola casetta, un'izba decrepita. In questa izba vivevano un vecchio con la sua vecchietta. Vivevano in grande povertà: il vecchio fabbricava le reti e andava al mare per prendere i pesci. Ne prendeva solo quanto ne bastava per il vitto quotidiano.
Una volta, chissà come, il vecchio gettò la sua rete, cominciò a tirare e si accorse che era molto pesante, come mai gli era capitato. Tira e tira, riuscì a tirar fuori la rete. Guardò: la rete era vuota; c'era in tutto un pesciolino, ma non un semplice pesciolino: era un pesciolino tutto d'oro. Il pesciolino pregò il vecchio con voce umana: "Non prendermi, vecchietto! È meglio se mi lasci andare nel mare azzurro; io ti sarò riconoscente: farò quello che vorrai". Il vecchio pensò e ripensò, poi disse: "Che bisogno ho di te? Va' pure a passeggio nel tuo mare!" Gettò il pesciolino d'oro nel mare e tornò a casa.
La vecchia gli chiese: "Hai preso molti pesci, vecchio?" "In tutto ho preso solo un pesciolino d'oro, ma l'ho ributtato in mare. Mi pregò con insistenza. Lasciami andare, mi disse, nell'azzurro mare ed io ti ricompenserò, farò tutto quello che vorrai! Ho avuto compassione del pesce, non ho voluto da lui un riscatto ma l'ho lasciato libero a sua volontà" "Vecchio demonio! Ti era capitata tra le mani una vera fortuna e tu non hai saputo prenderla." La vecchia si incattivì, insultò il vecchio da mattina a sera, non lo lasciò in pace: "Dovevi chiedergli almeno un po' di pane. Qui abbiamo solo delle croste secche: che mangerai?" Il vecchio non si trattenne, andò dal pesciolino d'oro per chiedergli del pane. Arrivò alla riva, e gridò con voce forte: "Pesciolino, pesciolino! Mettiti con la coda in mare e con la testa verso di me." Il pesciolino nuotò a riva: "Di che cosa hai bisogno, vecchio?" "La vecchia si è arrabbiata, mi ha mandato a chiedere del pane." "Torna a casa: ci sarà del pane fin che ne vuoi". Il vecchio tornò a casa: "E allora, vecchia, c'è il pane?" "Di pane ce n'è finché vuoi. Ma ecco il guaio. Il mastello si è rotto, e non so dove lavare la biancheria. Va' dal pesciolino e chiedigli un nuovo mastello."
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...