Visualizzazione post con etichetta Italiano Senza Errori. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Italiano Senza Errori. Mostra tutti i post

mercoledì 5 ottobre 2022

Usiamo spesso la locuzione "qualsiasi sia", ma farlo è sbagliato. Ecco perché

Si tratta di una locuzione che prende sempre più piede: la usiamo spesso sia nel parlato che nello scritto, tanto che in un secolo la sua frequenza è quintuplicata.

 Ad essere sinceri in qualche caso la troviamo usata da intellettuali illustri: lo fa Umberto Eco, per esempio, nel Nome della Rosaincurante o forse gongolante: "Stia tranquillo, qualsiasi sia il debito che ti lega a Malachia".

Incurante di cosa? Del fatto che si tratta di una locuzione errata. Ma lui, beninteso, se lo poteva permettere: non di errare, ma di errare consapevole dell'errore :)

Quali sono, dunque, le ragioni per cui una tale forma è senza dubbio errata?
Per comprenderle dobbiamo risalire all'etimologia del termine: "qualsiasi" altro non è che la cristallizzazione di una sequenza di due parole: "qual" e "siasi" (difatti fino ad un passato recente questa forma era molto diffusa). Ma quel "siasi" altro non è che una forma con il pronome posposto: sarebbe, cioè, "si sia", con il pronome "si" che viene messo dopo il verbo (come accade nelle forme vendesi, dicasi, affittasi ...).

Ciò vuol dire che la parola "qualsiasi" contiene già un verbo ("sia", appunto) e non deve essere seguita da un altro verbo, né all'indicativo né al congiuntivo.

Dire quindi "qualsiasi sia" equivale a dire "qual si sia sia", ed è evidentemente una autentica storpiatura.

L'enciclopedia TRECCANI specifica, quindi, quanto segue:

In una proposizione relativa con valore concessivo, se il modo del predicato è il congiuntivo presente del verbo essere, è consigliabile usare la forma qualunque. Questo per due ragioni: per evitare la ripetizione dello stesso suono due volte consecutive (qualsiasi sia); perché qualsiasi ha già in sé il congiuntivo del verbo essere (= quale che sia)

Qualunque sia il problema, lo risolveremo è meglio di Qualsiasi sia il problema, lo risolveremo.

Per altre chicche sulla lingua italiana ti consigliamo di consultare la nostra pagina: 

ITALIANO SENZA ERRORI 

domenica 8 novembre 2020

"Qui l'accento ci va?": semplici trucchi per non sbagliare i monosillabi accentati (video)

Si tratta di uno dei crucci di chi scrive mail, di chi compila il curriculum, di chi si interfaccia con una persona colta, di chi sta scrivendo un compito di italiano (di Maturità, magari).
Molti amici mi scrivono: "Sto rispondendo al capo. Ma su "da" l'accento ci va?". Non scherzo, cose del genere capitano almeno una volta ogni 15 giorni.

C'è da dire anche che persino molti insegnanti commettono questi errori, anche perché forse non si sono mai posti il problema.

 Eppure proprio di errori si tratta e pure abbastanza gravi: commetterli significa non riconoscere la categoria grammaticale, cioè la parte del discorso, a cui la parola usata appartiene. Ma per non sbagliare, al di là che si conoscano o meno le categorie grammaticali, si può fare ricorso a semplici espedienti per togliersi ogni dubbio e scrivere correttamente.

Nel video che segue mi sono divertito a suggerire 7 semplici trucchi più una regola grammaticale (suvvia, non serve uno sforzo sovrumano!) per non sbagliare i monosillabi. Spero che al termine del video, lo studente, o chiunque voglia scrivere correttamente in italiano, si senta più sollevato e sicuro di sé (da notare l'accento su sé, in questo caso :) )

Colgo l'occasione per invitarvi anche ad iscrivervi al canale Sapiens Sapiens, che è associato a questo blog.
Un abbraccio a tutti.

Vai al video:

"Qui l'accento ci va?" Semplici trucchi per non sbagliare gli accenti nei monosillabi

Oppure guardalo in basso:

domenica 25 marzo 2018

Si scrive "da" o "dà"? "Pò" o "po' "? Guardate con attenzione: una marea di insegnanti fa questi errori

Risultati immagini per accento o apostrofo?Non è affatto scontato, né banale, ricordare alcuni diffusissimi errori di ortografia che, ovviamente, si fanno senza saperlo.

E vengono commessi ovunque: oltre che dagli studenti, anche da professionisti coltissimi o da docenti molto preparati nella loro disciplina (diversa dall'italiano).

E senza far appello allo scandalo, o alla scuola che non funziona, diciamo semplicemente che non si può sapere tutto, che alcune cose si dimenticano soprattutto se si è impegnati a fare altro, che nell'istruzione di chiunque ci sono lacune più o meno estese. Poco male.

Questo video, ed altri video come questo all'interno dei canale, vuole porre rimedio ad errori diffusissimi nell'ortografia dei monosillabi.
Prima di lasciarvi al suddetto video, però, vi chiediamo - se volete e se lo ritenete utile - di iscrivervi al canale youtube associato a questo sito, "Sapiens Sapiens":

https://www.youtube.com/channel/UCRCBaQH-wpfK0pxJwqW7XUw?view_as=subscriber

sabato 3 marzo 2018

Si scrive "insegnamo" o "insegniamo"? Un errore molto diffuso, anche tra docenti e professionisti

Risultati immagini per come si scrive?L'ho trovato scritto due volte in classe, in due scuole diverse, da colleghi e, un caso simile, nei sottotitoli del TG2; In più, una volta, in un testo di un medico: "assegnamo", scrisse. Sui social non ne parliamo: iniziate a farci caso e vi renderete conto della frequenza di questo errore.

Non ci strappiamo i capelli, però, perché possiamo sbagliare tutti, soprattutto quando si tratta di una regola che si usa di rado e che è possibile dimenticare.

Il video in basso fa chiarezza sulla questione con un tutorial che ci mette i guarda da questo errore insidioso. Si può proiettare anche in classe come lezione per gli alunni.

Se vi fa piacere vi invito ad iscrivervi al canale SAPIENS SAPIENS, associato al blog Guamodì Scuola, dove trovare materiali per lezioni, pratiche didattiche e molto altro:

https://www.youtube.com/channel/UCRCBaQH-wpfK0pxJwqW7XUw




domenica 14 gennaio 2018

Si dice "La casa che ho comprato" o "La casa che ho comprata"? - Italiano Senza Errori

O anche, "Ho scelto le migliori offerte" oppure "Ho scelte le migliori offerte"?

Forse sulla forma "Ho scelto le migliori offerte" non abbiamo molti dubbi, perché di fatto è quella oggi più diffusa. Si può dire, in realtà, anche "Ho scelte le migliori offerte", facendo concordare il participio del verbo scegliere (cioè "scelte") con l'oggetto, cioè con "le migliori offerte", ma è una forma quasi interamente abbandonata che, obiettivamente, ci suona un po' strana.

Qualche dubbio in più, invece, può venire nel caso di frasi come "Ti ho vista allo stadio" o "Ti ho visto allo stadio", premettendo che il pronome "ti" (te) si riferisce in entrambi i casi ad una donna, colei cioè che è stata vista. Anche in questo caso si può dire in entrambi i modi, senza problemi. 


Lo stesso vale per forme simili, come ad esempio "la casa che ho comprato" e "la casa che ho comprata": nel secondo dei due casi, comprata (desinenza "-a") concorda con il "che", un pronome relativo che sostituisce il sostantivo "la casa", evidentemente femminile. Si può dire in entrambi i modi. 


Allo stesso modo, non si commette errore sia che si dica "il suo intervento è stato una meraviglia" sia "il suo intervento è stata una meraviglia": nel primo caso il participio "stato" concorda con il soggetto "intervento", nel secondo, invece, si utilizza il participio "stata" facendolo concordare con il nome del predicato "meraviglia".


Identico è il caso se si ha un verbo pronominale: ad esempio, "la meta che ci siamo prefissati" ("prefissati" concorda con il soggetto inespresso "noi") o "la meta che ci siamo prefissata" ("prefissata" concorda con "la meta").


----------------------------------


martedì 2 gennaio 2018

Si dice "ha dovuto partire" o " è dovuto partire"? La spinosa questione dell'ausiliare con verbo servile - Italiano Senza Errori (con VIDEO GRAMMATICA)

Un dubbio del genere (quello riportato nel titolo) è venuto a chiunque, soprattutto nel parlato, quando cioè si ha meno tempo per ragionare.

Ha dovuto partire oppure è dovuto partire? Dilemmi di questo genere aprono la riflessione sull'uso dell'ausiliare (quindi essere o avere) in presenza di un verbo servile.

I verbi servili, lo ricordiamo brevemente e in soldoni, sono quelli che "servono" ad altri verbi per modificare il loro senso. Ad esempio sono andato, oppure sono dovuto andare: dovuto è un verbo servile che, come vediamo, modifica il senso del verbo semplice sono andato.
I verbi servili più usati sono dovere, potere e volere.

Dunque, come orientarsi per non sbagliare l'uso dell'ausiliare quando compare un verbo servile?
Teniamo a mente questi 4 promemoria e ... non sbaglieremo!

1. La prima buona regola per non sbagliare è anteporre al verbo servile l'ausiliare che avremmo anteposto correttamente al verbo "servito" se il servile non ci fosse stato. Ad esempio, diciamo ha giocato una partita oppure è giocato una partita? Ovviamente ha giocato una partita, quindi inseriamo il servile senza modificare l'ausiliario: ha dovuto giocare una partita, oppure ha potuto giocare una partita o, ancora, ha voluto giocare una partita (sono stati sottolineati i verbi servili).

2. Se il verbo che segue il servile è intransitivo (cioè un verbo che non regge il complemento oggetto, come partire, andare, tornare, camminare, uscire ...) si può usare sia l'ausiliare essere sia l'ausiliare avere: ho dovuto andare o sono dovuto andare; ho dovuto camminare per tre ore oppure sono dovuto camminare per tre ore.

3. Se il verbo servile è seguito dal verbo essere allora l'ausiliare dovrà essere sempre il verbo avere: dopo la morte del padre ha dovuto essere forte (non "è dovuto" essere forte).

4. Se il servile viene usato in "aiuto" di un verbo all'infinito con un pronome atono (mi, ti, ci, vi...) si usa il verbo essere se il pronome atono precede l'infinito, si usa il verbo avere se segue l'infinito. Ad esempio, si è dovuto alzare presto (in questo caso il pronome atono "si" precede l'infinito "alzare", quindi si usa il verbo "essere" prima del servile) oppure ha dovuto alzarsi presto (in questo caso il pronome atono "si" segue l'infinito "alzare", quindi si usa il verbo avere).




----------------------------------


sabato 18 novembre 2017

Firmi COGNOME + NOME oppure NOME + COGNOME? Sicuro che non sbagli?

Da un po' non scriviamo un articolo nella rubrica "Italiano Senza Errori". Ricominciamo oggi soffermandoci su un dilemma che riguarda non soltanto i ragazzi sui banchi di scuola (che il più delle volte sbagliano), ma anche adulti e persino insegnanti.


La questione spinosa è la seguente: si firma cognome + nome, ad es. Alighieri Dante, oppure nome + cognome, cioè Dante Alighieri?

Il modo corretto è senza dubbio il secondo, vale a dire NOME + COGNOME, sebbene vi sia un'abitudine, diffusa soprattutto nella pubblica amministrazione, a preferire il cognome anteposto al nome.

A sostegno della forma corretta "nome + cognome" ci sono delle ragioni storiche. Il cognome, infatti, nasce al fine di specificare meglio il nome, per evitare delle possibili confusioni: il già citato Dante Alighieri stava a significare, ad esempio, "Dante figlio di Alighiero"; oppure Gianni Fabbri specificava il mestiere praticato; o ancora il cognome rappresentava una caratteristica fisica della persona a cui veniva affibbiato, come nel caso di Mirko Piccinini.

Perciò come nella lingua italiana l'aggettivo segue in genere il sostantivo per meglio specificarlo (es. Bicicletta rossa), allo stesso modo il cognome va posto dopo il nome poiché consiste in una ulteriore specificazione.

La forma "cognome + nome" non si può mai usare?
Si usa generalmente negli elenchi, ad esempio nell'ordine alfabetico degli alunni sul registro di classe o negli elenchi telefonici

E' così per tutte le altre lingue?
No, ad esempio in Ungheria e in Giappone si usa la forma "cognome + nome". In Islanda invece, dove i cognomi sono patronimici (derivano cioè dal nome del padre) e finiscono in -Son per i maschi (Anderson=figlio di Ander) e in - dottir per le femmine (figlia di ...), persino gli elenchi in ordine alfabetico seguono la forma "nome+cognome".

----------------------



Se ti interessa l'argomento puoi approfondirlo qui: 


lunedì 5 dicembre 2016

Si dice "allerta" oppure "all'erta"? Italiano Senza Errori

Molte persone si chiedono, giustamente, quale delle due forme sia corretta.

Un po' di storia di questo "modo di dire" può aiutarci a capirne il vero significato e a scriverlo

"Erta" è un termine che indica un'altura, un luogo da cui osservare e tenere sotto controllo un territorio. L'espressione "stare all'erta", dunque, si sviluppa principalmente in ambito militare poiché era compito della sentinella quello di "stare all'erta", cioè presidiare una posizione sopraelevata da cui controllare le zone circostanti e tenere sotto controllo le mosse del nemico.

La locuzione "all'erta", successivamente, è diventata uninominale, vale a dire costituita da una sola parola, "allerta", assumendo la funzione di sostantivo dall'originale locuzione avverbiale. 
Dal sostantivo "allerta" seguirà poi la formazione del verbo "allertare" (es. "allertare la popolazione").

Per questa ragione, non essendo nel frattempo caduta in disuso la forma "all'erta", sono consentite entrambe le forme. Possiamo scrivere quindi "stare all'erta" e "stare in allerta". 

Di che genere è il nome "allerta"? Femminile, anche se viene talvolta anche usato al maschile.

------------------------------------

domenica 16 ottobre 2016

Pillole di grammatica: il punto fermo - Italiano senza errori

Breve storia del punto fermo
Nell'antica Grecia i segni di interpunzione - e quindi anche il nostro "punto" - non venivano usati quasi mai, se non in casi particolarmente eccezionali. Nelle più antiche epigrafi, infatti, si vede come le parole fossero scritte una accanto all'altra, tanto che la parola che noi usiamo per indicare il processo di decodifica del testo scritto, e cioè "leggere", per i Greci non esisteva, ed era invece sostituta da una verbo che voleva dire "decifrare" o "riconoscere".

Successivamente, per facilitare la comprensione dei testi ed evitare equivoci, si introdussero i segni di punteggiatura. I Greci usavano due tipi di punti, uno in basso (equivalente al nostro "punto"), ed uno in alto, corrispondente al nostro "due punti" o "punto e virgola".

Rispetto alla prassi antica, c'era anche la distinzione tra il segno coincidente con il nostro "punto" e quello che indicava la fine dell'opera, il "segno di fine opera" ("punto messo alla fine, quando non c'è altro da dire"), che corrisponde al nostro "punto e virgola". In più lo stesso segno, il "punto", aveva diverse "gradazioni": il punto mobile, una pausa più breve, seguito da lettera maiuscola, e il punto fermo (il nostro attuale "punto"), seguito da lettere maiuscole.
Mentre l'uso del punto mobile è andato progressivamente sparendo, dalla fine dell'Ottocento si afferma progressivamente il punto forte fino agli usi attuali.


La grammatica del punto
Il punto fermo - detto anche, semplicemente, punto - si usa quando tra due frasi, due periodi o due sezioni più o meno ampie di un testo c'è un'interruzione forte, o perché cambia l'argomento di cui si parla, oppure perché si aggiungono informazioni all'argomento di cui già si sta parlando.

Prendiamo questa breve recensione del celebre film di James Cameron, Avatar:

"Jake Sully è un ex marine costretto sulla sedia a rotelle. Grazie agli esperimenti portati avanti dalla dottoressa Grace Augustin, per Jake si presenta l'opportunità di riprendere l'uso delle gambe. Sully sbarcherà su Pandora, un pianeta dove la mancanza d aria costringe gli umani a trasformarsi in Avatar, ibridi tra gli umani i Na'vi, in cerca di minerali preziosi".

Questo testo è diviso in tre segmenti, in tre periodi: al centro del primo c'è Jake Sully e si spiega chi è. Nel successivo viene presentato un altro personaggio, la dottoressa Grace, ma l'argomento più importante e la possibilità per Jake di riprendere l'uso delle gambe. Nel terzo, infine, si Parla di Pandora e della possibilità, da parte degli umani, di trasformarsi in Avatar.

Abbiamo quindi un testo con tre segmenti che hanno argomenti diversi che, quindi, occorre separare con un punto fermo.

Quando si va a capo?
Non sempre vale il detto "punto e a capo", perché spesso dopo il punto si continua a scrivere proseguendo sullo stesso rigo. Si va a capo, invece, quando il punto indica uno stacco netto con la frase successiva.

Vediamo questo esempio tratto dal libro "Se questo è un uomo di Primo Levi:


"Il viaggio non durò che una ventina di minuti. Poi l'autocarro si è fermato, e si è visto una grande porta, e sopra una scritta vivamente illuminata (il suo ricordo ancora mi percuote nei sogni): ARBEIT MACHT FREI, il lavoro rende liberi. 
Siamo scesi, ci hanno fatti entrare in una camera vasta e nuda, debolmente riscaldata. Che sete abbiamo! Il debole fruscio dell'acqua nei radiatori ci rende feroci: sono quattro giorni che non beviamo. 

Il testo è diviso in due capoversi, intendendo per "capoverso" l'inizio di un periodo a capo di un nuovo rigo: il primo parte da "Il viaggio" fino a "rende liberi", il secondo da "Siamo scesi" e termina con "non beviamo".
Si vede chiaramente come nel secondo capoverso Primo Levi parli del loro ingresso in una camera e che la loro sete era intensa. Del tutto diverso è l'argomento rispetto al capoverso precedente, in cui parla dell'arrivo nel famigerato campo di concentramento di Auschwitz.


Il punto può anche essere seguito da una lettere NON maiuscola?
. Il punto fermo può essere utilizzato anche nelle abbreviazioni (dott., ing.) oppure nelle parole contratte (f.lli, gent.mo): nel primo caso, quando la parola puntata viene seguita da un nome o cognome di persona, ad esempio "dott. Angelucci", ovviamente serve la maiuscola perché si tratta di un nome proprio; nel secondo caso, invece, usando le parole contratte, dopo il punto la maiuscola non si usa, come nel caso che segue, in cui la "elle" dopo la "f" con punto è minuscola: "Il cinema fu inventato dai f.lli Lumiere".


Fonte della recensione: http://www.cinemaeliseo.it/scheda.php?id=453

----------------------------------

venerdì 26 agosto 2016

I segni di punteggiatura? Servono per collegare e non per separare!

Le regole grammaticali sono tante, ma quelle che riguardano la punteggiatura, a leggere i testi qua e là, sembrano inesistenti.

Secondo molti, esistono solo alcune indicazioni precise, che spesso si ricordano "a memoria", come per esempio la regola che prescrive l'uso del punto quando si chiude un periodo (cioè l'insieme di una o più frasi), oppure il punto interrogativo alla fine di una domanda.
A parte alcune regole chiare, sembra quasi che, per il resto, la punteggiatura sia solo una questione discrezionale, di stile, di gusto personale. 

Nulla di più sbagliato: un simile atteggiamento provoca molta confusione e, del resto, anche molti errori, alcuni gravi. A volte se ne fa un uso eccessivamente scarno, omettendo i segni anche là dove sono necessari, altre volte se ne fa un uso eccessivo, esagerato, rendendo la lettura macchinosa e poco scorrevole.

Le regole di punteggiatura ci sono e sono chiare quanto basta; ciò vuol dire che abbiamo a disposizione tutto quello che ci serve per scrivere un testo chiaro, scorrevole  e piacevole. In più abbiamo molti margini di libertà per personalizzare il nostro particolare stile di scrittura, che meglio rispetti la nostra personalità e i nostri gusti.
Cosa vuoi di più?

Ebbene, il modo migliore per approcciare alla punteggiatura è rovesciare l'opinione che si ha su di essa (che in fondo corrisponde con ciò che ci hanno sempre insegnato fin dalla più tenera età nella scuola primaria) e cioè che la punteggiatura serve per creare delle pause, per separare frasi, parole, elenchi ... e così via.

Quante volte abbiamo sentito: "Con la virgola devi fare una pausa breve, con il punto una lunga". Detto così, sembra che siano la virgola e il punto stessi a creare una pausa, quando invece i punti, le virgole e tutti gli altri segni di punteggiatura non fanno altro che segnalare una pausa che già esiste nel significato! Esiste già nella realtà del parlato, nella lingua con cui comunichiamo tutti i giorni.

Potremmo dire che i segni di punteggiatura non separano alcunché, ma agganciano parole o periodi tra cui esiste già una pausa nel parlato.

In sintesi, quando leggiamo o scriviamo non dobbiamo fare una pausa in corrispondenza dei segni di punteggiatura perché li troviamo scritti sulla pagina, ma li troviamo scritti sulla pagina perché esistono già pause naturali nel parlato.

Basta un po' di attenzione per notare che, mentre parliamo, prima di cambiare discorso, facciamo una pausa piuttosto lunga. Quella pausa diventerà il punto fermo, cioè il classico punto che, attenzione, solo a volte ci obbliga ad andare a capo.

Può accadere anche che, sempre nel caso di una pausa lunga, anche se non si cambia discorso, potremmo dover utilizzare anche i "due punti" oppure il "punto e virgola" (vedremo altrove quali regole seguire).

Se invece non cambiamo discorso, ma prendiamo fiato senza spezzare frasi "a casaccio", allora avremo la virgola che, anche in questo caso, esiste già nella lingua parlata e noi l'abbiamo trasformata in un segno grafico per inserirla all'interno del testo.

Questo semplice concetto, anche se non è ancora sufficiente affinché si usi la punteggiatura correttamente, è già un buon punto di partenza.


-----------------------------


mercoledì 2 marzo 2016

E' corretto usare la virgola prima della "e"? - Italiano Senza Errori

Esiste una regola fantasma, che spesso ereditiamo dalle prime lezioni di punteggiatura nella scuola primaria, secondo cui se si usa la congiunzione "e" allora non si deve usare la virgola; viceversa, se si usa la virgola la congiunzione "e" non ci vuole.

La virgola che precede la "e" non solo è corretta, ma spesso è consigliata per motivi espressivi. Crea un collegamento più saldo, un doppio collegamento.

Vediamo alcuni esempi:

Ce l'avevi quasi fatta, e quello della macchina ce l'aveva quasi fatta a schivarti

oppure:

Aveva appena piovuto, e presto sarebbe tornato a piovere

oppure, ancora:

L'autista è sceso, sono scesi in molti, e hanno camminato verso di te.

Esempi tratti da M. Mazzantini, Non ti muovere

La bellezza della "e" dopo la virgola è evidente da questi esempi, e non è una licenza poetica come spesso si dice: è corretto usarla, senza dubbio.

Diverso è il caso della virgola che divide il gruppo del soggetto dal gruppo del predicato, come anche il gruppo del predicato dal gruppo del complemento oggetto.

-----------------------------

giovedì 17 dicembre 2015

Perché diciamo "IL fine settimana" e non "LA fine settimana"? - Italiano Senza Errori

Perché diciamo "IL fine settimana" e non "LA fine settimana"?

Nel rispetto della concordanza di genere fra articolo e nome, la forma corretta dovrebbe richiedere l'utilizzo dell'articolo LA (IL fine infatti, al maschile, è cosa diversa) e in effetti non è errato utilizzare la forma femminile, che però dovrebbe contenere anche la preposizione articolata "della" ("LA fine DELLA settimana").
L'espressione infatti, attestata in italiano dal 1932, è un calco dell'inglese "week end", per il quale si utilizza l'articolo IL. Da qui il largo utilizzo della forma maschile: IL fine settimana.

domenica 29 novembre 2015

La storia dei segni di punteggiatura: come e quando nascono, come si sviluppano

Da dove nasce quella specie di uncino, messo al termine di una frase, che utilizziamo quando vogliamo porre una domanda?
Lo abbiamo appena usato: è il punto interrogativo  - ? -

Ma non è il solo segno di punteggiatura "curioso" della nostra lingua. Anche il punto esclamativo, ad esempio, ha dei tratti particolari.

Ma come si sviluppano questi segni di punteggiatura? Da quando, nel discorso scritto, gli esser umani hanno iniziato ad usare questi segni, per indicare pause, stupore, per costruire una specie di "partitura" che detta i tempi del respiro e dell'espressione?

Potrebbe essere davvero interessante scoprire che il punto interrogativo, con cui abbiamo aperto questo post, nasce dall'evoluzione della parola latina QUAESTIO (domanda), messa al termine della frase proprio per distinguere un'affermazione da una interrogativa.

A questa e ad altre curiosità è possibile trovare risposta nello stralcio di un libro, in formato PDF, gratuitamente scaricabile, che riportiamo al link in fondo alla pagina.

Si tratta del volume "Prontuario di punteggiatura", di Bice Mortara Garavelli. Le pagine riportate, a cui il link rimanda, vanno da 117 a 134.

Buona lettura!

-------------------------------------
----

lunedì 23 novembre 2015

Le funzioni del "CHE" in una video lezione - Sapiens Sapiens

Nel video che trovate in questo post riportiamo una lezione di italiano sulle funzioni del CHE:

- Pronome esclamativo;

- Pronome interrogativo;

- Aggettivo esclamativo;

- Aggettivo interrogativo;

- Pronome relativo (soggetto e complemento oggetto).

La lezione è utile, in generale, per meglio usare la lingua italiana, sia nell'aspetto produttivo che ricettivo. Nello specifico è anche un valido strumento per comprendere uno degli argomenti più richiesti nelle prove INVALSI al termine del I ciclo di istruzione e per imparare sia lingue classiche (latino e greco) che straniere.

domenica 1 novembre 2015

Gli errori di grammatica (anche in percentuale) più commessi dagli italiani

In occasione della settimana della lingua italiana e della giornata ProGrammatica organizzata da RAI3, Miur e dall'Accademia della Crusca, il web si è scatenato nelle celebrazioni della nostra lingua come veicolo di eccellente cultura planetaria nel corso dei secoli; non sono mancate, ovviamente, bacchettate sulle mani agli italiani che sembrano avere un rapporto conflittuale con la loro lingua madre. Troppi errori, ancora, commessi dagli italiani nella lingua parlata e scritta.
Di seguito riportiamo un sintetico censimento degli errori di italiano più commessi... dagli italiani. 

L'apostrofo - Errore commesso dal 71% degli italiani.
E' diffusissimo il caso di po', che si scrive, appunto con l'apostrofo, ma che la maggior parte degli italiani scrive ancora con l'accento (il 54% degli italiani commette questo errore)Ci sono molti altri esempi, come ad esempio il fa' nel caso dell'imperativo fai... e così via. Per inciso, anche E' scritto all'inizio di questo paragrafo è un errore; infatti ci vuole l'accento, non l'apostrofo ... ma non so metterlo sulla maiuscola con la tastiera che uso. :)
Per approfondire: Guida ad accenti o apostrofi

Qual è o qual'è - Errore commesso dal 67% degli italiani.
Ebbene sì, si tratta di uno degli errori più diffusi. Qual è e tal è non vogliono l'apostrofo, ma errori del genere, purtroppo, si trovano ovunque. Di recente ne ho trovato uno nella quarta di copertina di un libro venduto in edicola.
Per approfondire: Guida ad accenti o apostrofi

L'uso del congiuntivo - Errore commesso dal 65% degli italiani.
Tempo fa girava in rete un post in cui c'era scritto "Il congiuntivo non è una malattia degli occhi", ma pare che per molti italiani lo sia davvero.

Gli e le - Errore commesso dal 58 % degli italiani
Anche in questo caso sono moltissimi gli italiani che non distinguono - o pur distinguendolo non hanno intenzione di metterla in pratica - la differenza tra "gli" e "le". Gli = "a lui", Le = "a lei".  

C o Q? - Errore commesso dal 51% degli italiani
Si va in panne, molto spesso, di fronte a parole come PROFICUO, TACCUINO, EVACUARE: ci va la C o la Q? Ebbene, più della metà degli italiani sbaglia l'ortografia di queste parole.

La punteggiatura - Errore commesso dal 43% degli italiani
La punteggiatura è definita "il respiro del testo". Sembra, però, che molti italiani il testo lo facciano morire asfissiato, oppure lo mandino in affanno. Nel migliore dei casi lo sottopongono a lunghe apnee.

Ne o né? - Errore commesso dal 37% degli italiani.
Sembra una sciocchezza, ma mettere o no l'accento cambia molto le cose. Ne, scritto senza accento, è un pronome; , invece, con l'accento è una congiunzione.
Per approfondire: Guida ad accenti o apostrofi

I dati sono tratti dal sito libreriamo.it, integrati con i contenuti di questo blog e con osservazioni di chi scrive.

Per approfondire:

ITALIANO SENZA ERRORI
 Pagina dedicata alla lingua italiana
 e ai dubbi linguistici più comuni

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...