venerdì 2 novembre 2018

"I morti ci aspettano". Riflessioni meravigliose del filosofo Emanuele Severino sul senso della morte - Educare Narrando

Segue questo meraviglioso testo sulla morte un breve intervento chiarificatore (si spera).

"Insieme a tutti i miei morti - e insieme a tutti i morti - mi aspetta (la moglie defunta, ndr). Ora sono degli Dèi. Per ora stanno fermi nella luce. Come le stelle fisse nel cielo.
Poi, quando la vicenda terrena dell'uomo sarà giunta al proprio compimento, sarà necessario che ognuno faccia esperienza di tutte le esperienze altrui e che in ognuno appaia la Gioia infinita che ognuno è nel profondo. Essa oltrepassa ogni dolore sperimentato dall'uomo.
Siamo desinati ad una Gioia infinitamente più intensa di quella che le religioni e le sapienze di questo mondo promettono. Nel Requiem cristiano si chiede - si chiede! - che nei morti risplenda la luce perpetua, si chiede che riposino in pace. Ma questo è inevitabile, è necessario che in loro questa luce risplenda e illumini qualcosa di infinitamente più alto di Dio. Non è chiesta: è il nostro destino. E non riposeremo "in pace". In pace riposano i cadaveri. Lasciandosi alle spalle il dolore e la morte, quella luce mostrerà all'infinito una gioia sempre più infinita. 
C'è bisogno di avvertire che, di quanto mi limito ad asserire, i miei scritti mostrano la necessità e il significato autentico di questa parola e della stessa "autenticità"?"

E. Severino, Il mio ricordo degli eterni (AUTOBIOGRAFIA), Rizzoli, Milano, 2011 




Gli uomini non muoiono tutti allo stesso modo. E difatti gli uomini, nelle varie epoche, non sono morti allo stesso modo, poiché si muore a seconda di come la morte viene pensata, intesa, considerata. Per gli uomini preistorici era per lo più un viaggio, una migrazione verso un altrove immaginato. Dai Greci in poi però - con la comparsa per la prima volta nel mondo del pensiero filosofico che, per sua natura, aspira all'incontrovertibile - cambia radicalmente il modo di intendere la morte: i Greci, evocando il nulla, considerano la morte come l'annientarsi di ciò che è. Si tratta del fondamento del nichilismo, che permea tutto il pensiero dell'Occidente, cristianesimo compreso (anche se non si direbbe). Il Pensiero a questo punto inizia la sua battaglia alla ricerca di un rimedio, di un riparo o una soluzione che dir si voglia, che risolva l'angoscia profonda che viene da questo nichilismo originario e radicale: l'annientarsi di tutto ciò che muore, appunto. 

Emanuele Severino ribalta questa prospettiva. La considera follia, poiché non è possibile che ciò che è non sia, come non è possibile che ciò che non è sia.
Giunge, al termine di una meravigliosa parabola filosofica - con la strutturazione di un pensiero rigoroso e finora non confutato - alla formulazione dell'eternità degli essenti: ogni cosa che è è eterna. Il bicchiere sul tavolo, le foglie, i pensieri, i movimenti che compiamo, le nostre emozioni, il gesto dello strizzare gli occhi e una carezza ai nostri figli. Tutto è eterno.
E la morte allora? La morte non è annientamento, ma è l'uscita dal cerchio dell'apparire.



Certo, questi concetti suonano strani, soprattutto perché così formulati sembrano una "fede"; e invece il filosofo bresciano mostra la necessità che le cose stiano così, prescindendo dalla volontà di un Dio dispensatore di eternità, al rispettare, da parte del mortale, di determinate condizioni (i Comandamenti, ad esempio). L'eternità appartiene a tutti, al "santo" e al più efferato dei criminali.

1 commento:

  1. Se tutto è eterno anche il morire è eterno?E come può essere eterno il morire? Chi allora gioisce della gioia eterna post mortem? Allora c'è un'anima uno spirito dopo che il corpo si decompone..ma con questo pensiero è eterna anche la decomposizione. Io sento invece che il.divenire cioè il tempo è tutt'altro che eterno....è una illusione che scioglie di attimo in attimo come goccia al.sole e quando verrà la morte sapremo cosa è la Verità.

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