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sabato 26 novembre 2022

Esce l'ultimo libro di Daniela Lucangeli: "Il tempo del NOI. Giganti del pensiero che ci hanno indicato la via"

La foto è tratta dalla pagina Facebook ufficiale di Daniela Lucangeli

Forse l'autrice non ha bisogno di presentazioni, ma noi ne facciamo una brevissima: Daniela Lucangeli è professoressa di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova ed esperta di psicologia dell’apprendimento. È autrice di numerosi lavori di ricerca e di intervento nell’ambito dell’apprendimento.

I suoi contributi al mondo della scuola, dell'educazione, dell'apprendimento sono utilissimi per insegnanti, genitori e formatori. 

Di lei ci siamo già occupati su questo sito e forse possono esserti utili gli articoli che le abbiamo dedicato:

Daniela Lucangeli: talenti da valorizzare a scuola. Come fare?

Perché facciamo tanta fatica con la matematica? L’intelligenza numerica mortificata a casa e a scuola - Di Daniela Lucangeli

Cinque lezioni leggere sull'emozione di apprendere, di Daniela Lucangeli

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Da qualche giorno è uscito il suo ultimo libroIl tempo del NOI. Giganti del pensiero che ci hanno indicato la via.
Si tratta di un testo che parte da una consapevolezza fondante: non siamo soli, non esistiamo separati dagli altri. Facciamo parte di un unico grande NOI. E questo NOI, così importante per le singole persone e per la collettività, si costruisce anche grazie ad apporti straordinari di grandi personalità, che hanno contribuito, in modo irreversibile, a creare la grande coscienza collettiva da cui prendiamo le mosse per successivi traguardi, per nuovi orizzonti.

E così Daniela Lucangeli dialoga con queste "grandi anime" - otto in tutto - che hanno dato radicali sterzate all'evoluzione dell'umanità. Tra queste troviamo Maria Montessori ad Anna Freud, da don Lorenzo Milani a Friedrich Fröbe.

Il libro è utile per insegnanti, educatori, formatori; i temi interessanti e l'autrice è una garanzia.

Vai al libro: 
Il tempo del NOI. Giganti del pensiero che ci hanno indicato la via.

La presentazione editoriale del volume:
«La prima volta che ho preso coscienza di essere un Noi è stata quando, abbracciando mia madre dopo uno spavento spaventosissimo, ho sentito intera la grazia di essere figlia. Lo spavento spaventosissimo è stato dimenticato, ma non quell'abbraccio. Io e lei, lei e io... e noi che dello spavento ci facevamo beffe tra lacrime e sorrisi.» L'intuizione avuta allora - non esistiamo se non nella relazione - si è poi trasformata per quella bambina nella consapevolezza perpetua e pervasiva di essere in ogni istante parte di un Noi. A livello personale (come figlia di, madre di), a livello umano (come vivente tra i viventi, ciascuno parte di un più grande organismo), a livello culturale... Da quel momento sono passati anni, la bambina è diventata una professoressa di Psicologia dello sviluppo, esperta di strategie di supporto ai disturbi del neurosviluppo, ma non ha perso quella visione d'insieme. Sente nitidamente che il suo sguardo sul mondo, il suo sapere odierno sono anch'essi parte di un Noi: un Noi che travalica il tempo e lo spazio, figlio e frutto di alcuni «abbracci» speciali. Abbracci di giganti del pensiero, singoli che hanno oltrepassato il limite dell'io regalando a noi il loro passo oltre l'ostacolo. Ne "Il tempo del Noi" Daniela Lucangeli dialoga con otto di loro (da Maria Montessori ad Anna Freud, da don Lorenzo Milani a Friedrich Fröbel) sui temi che più le sono cari - l'educazione, la vulnerabilità e il talento, la pace - facendo emergere come, e perché, alcuni individui hanno cambiato per sempre la struttura del sapere collettivo. Accendendo doni che hanno permesso al Noi successivo di camminare in pienezza di luce.

Vai al libro: Il tempo del NOI. Giganti del pensiero che ci hanno indicato la via.

Forse ti interessano altri interessanti lavori di Daniela Lucangeli:




martedì 30 agosto 2022

Umberto Galimberti: i danni della scuola facilitata

Riportiamo uno stralcio del prof. Umberto Galimberti, tratto dal suo libro "Il segreto della domanda", edito da Feltrinelli. In questo testo, tra i vari argomenti, Galimberti affronta più volte il tema della scuola. In questo caso la riflessione si concentra sulla scuola facilitata, che a suo avviso non lo sarebbe soltanto nei cinque anni della scuola superiore. Alcune considerazione riguardano anche gli insegnanti.

"Quando vedo un adolescente avvicinarsi alla scuola superiore tremo per lui. Tolto il rigore alle elementari e alle medie, dove tutto è abbastanza facile e lo sviluppo pisco-sessuale ancora non genera particolari sconvolgimenti, i ragazzi affrontano la scuola superiore, dove la preparazione che si esige è, per difficoltà, del tutto sproporzionata alla preparazione precedente. 

Per giunta, in quell'età i ragazzi affrontano problemi di identità e riconoscimento prima sconosciuti, e se il riconoscimento che arriva loro dipende dalla prestazione scolastica, la quale, stante la precedente preparazione non può essere che scadente, scadente sarà l'immagine che essi avranno di loro stessi, con due possibili via d'uscita: la depressione o il menefreghismo.

 La depressione innesca processi di auto svalutazione che, oltre a ingessare l'intelligenza, indeboliscono la forza d'animo e la stima di sé. Questa catastrofe, che avviene in età adolescenziale, rischia di determinare il proprio stile esistenziale per tutta la vita.

Il menefreghismo crea invece quei furbi che, dopo aver girato per cinque o più anni tra scuole pubbliche e private, arrivano all'università, dove, dopo la riforma appena introdotta, tutto torna facile come alle elementari e alle medie, quando non si è imparato abbastanza bene a leggere e a scrivere.

Restano dunque quei cinque anni terrificanti di scuola superiore per i quali non c'è preparazione e dopo i quali non c'è seguito. Un'isola infelice, dove si distruggono identità, si demotivano progettualità, si spengono sogni, si soffocano sviluppi, si ignorano persone, processi psichici, orientamenti sessuali, disorientamenti emotivi, nell'assoluta mancanza dei professori, che non si sentono chiamati a seguire questi processi.

Che fare? O rendiamo seria la scuola dalla prima elementare alla laurea, o attenuiamo il rigore in quell'isola infelice che è la scuola superiore, sconnessa dai percorsi di istruzione e di educazione che la precedono e la seguono, dove i danni che si compiono, nella più opaca inconsapevolezza, sono molto difficilmente riparabili, a meno che, in quel tratto pericolosissimo di scuola, non si assumano solo insegnanti capaci di prendersi cura, oltre che dei programmi, anche delle persone; e quando dico persone intendo una a una, cosa possibile se la classe è di 10-15 persone, e non come oggi di 30-35, e se sulla cattedra ci sono anche lì persone e non solo impiegati del Ministero della Pubblica Istruzione."

Umberto Galimberti, "Il segreto della domanda"

📚VAI AL LIBRO "IL SEGRETO DELLA DOMANDA" CLICCANDO QUI

venerdì 19 agosto 2022

Giulio Ferroni: "I giovani meritano una scuola che non sia al servizio dell'economia"

 "Se una salvezza del mondo potrà esserci, andrebbe fin d'ora affidata alle giovani generazioni, oggi penalizzate dalle difficoltà e dalle chiusure della scuola. Toccherà loro la difficile e urgente responsabilità per il destino del pianeta, che gli attuali adulti non hanno saputo né potuto assumersi: ma proprio per loro dovrebbe operare, adesso, una scuola carica di tensione critica e civile, che invece, come si è visto, si sta cercando di trasformare in passiva formatrice di capitale umano.

[...] I giovani hanno bisogno (e sono sempre più numerosi quelli che se ne rendono conto) di una scuola rivitalizzata, sottratta alla disordinata congerie dei modelli pedagogici e dei tanti progetti di riforma che negli ultimi decenni l'hanno sempre più burocratizzata, che hanno umiliato la sua sostanza educativa e culturale, sottoponendola a illusorie visioni della realtà e agli imperativi della comunicazione e del consumo. Non una scuola al servizio dell'economia, ma una scuola che sappia confrontarsi con la complessità del mondo e delle forme culturali, che attraverso il pensiero, la conoscenza storica, le scienze e le arti sappia toccare le ragioni essenziali del nostro stare al mondo, gli aspetti molteplici della vita sulla terra, le condizioni dell'ambiente, e sappia fornire gli strumenti per intervenire sul suo destino minacciato".
Giulio Ferroni, Una scuola per il futuro, Milano, La nave di Teseo, 2021, pp.237-240

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DALL'AUTORE: “Ho sempre guardato con grande interesse alle vicende della scuola, frequentando istituti e docenti, intervenendo sull’ossessivo succedersi di riforme realizzate o vagheggiate, partecipando a tante discussioni. Ora mi è sembrato che la situazione creata dal Covid-19 abbia mandato in fumo tante di quelle discussioni, tanto agitarsi e arrabattarsi di politici, di pedagoghi, di sindacalisti, di riformatori e di resistenti alle riforme: abbiamo visto la scuola ferma, bambini e adolescenti a casa, anche se poi sono seguite aperture parziali ed eterogenee. Scuola letteralmente sospesa, diventata per alcuni mesi letteralmente impossibile. La constatazione della natura salvifica dell’informatica e di Internet ha galvanizzato i tanti zelatori della scuola in rete, quella che era necessità è stata sbandierata come modello per il presente e per il futuro. Ma di scuola viva c’è comunque bisogno: oggi più che mai c’è bisogno di un autentico rilancio della scuola, che la liberi dalla burocratizzazione in cui è caduta negli ultimi anni e dalla condizione di parcheggio a cui spesso è stata piegata. Di fronte al dominio del digitale e dei social media, di fronte al diffondersi di una pericolosa incultura, tra ignoranza, stupidità, irrazionalità, dilagare incontrollato della menzogna e della volgarità, le giovani generazioni hanno bisogno dello schermo forte della cultura e della scienza, di quella razionalità problematica che non può certo far leva su motivazioni spicciole, ma sul presente precipitare della storia e sulla necessità di ‘salvare’ il futuro, sulla responsabilità per il destino del pianeta, in cui tutti siamo coinvolti.”

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giovedì 18 agosto 2022

Il metodo Montessori a casa propria: oltre 170 attività per crescere un bambino curioso e autonomo

Il metodo Montessori non smette di affascinare insegnanti, genitori, educatori, e tutti, chi più chi meno, conosciamo le sue caratteristiche nei fondamenti: il mondo a misura di bambino, lo sviluppo dell'autonomia, il rispetto nei tempi dell'apprendimento...

Eppure possiamo forse dire che si tratta di una risorsa pedagogica che ha avuto più successo all'estero che in Italia. 
Anna Frank studiò in una scuola Montessori, e lo stesso fecero i fondatori del colosso Google.

Céline Santini e Vendula Kachel scrivono la guida, che proponiamo qui, che permette di applicare i principi pedagogici e i metodi della Montessori in ambito domestico. Può essere quindi usata anzitutto dai genitori, ma anche da educatori, pedagogisti ed insegnanti.

 Autonomia, autostima, concentrazione, creatività… Sono solo alcuni dei numerosi potenziali umani che il metodo Montessori permette di sviluppare nel bambino. Con l’intento di renderlo accessibile al maggior numero possibile di persone, le autrici propongono oltre 170 attività per favorire nei bambini da 0 a 6 anni: 

• la scoperta della natura (far germogliare un seme, osservare le api ecc.); 

• la scoperta della cultura e del mondo (ispirarsi a un’opera d’arte, creare un giardino zen ecc.); 

• la scoperta del corpo e dei cinque sensi (sperimentare la forza di gravità, ascoltare il silenzio ecc.); 

• la scoperta della vita pratica (usare una bilancia, rompere una noce ecc.). 

Una miniera di preziose indicazioni per tutti i genitori desiderosi di mettere in pratica questo metodo nella vita quotidiana, stimolando l’immaginazione nella mente del bambino e facendovi germogliare i “semi del sapere”.

VAI A "IL METODO MONTESSORI A CASA PROPRIA", di Céline Santini e Vendula Kachel

martedì 9 agosto 2022

"L'imparare non è lo stesso che sapere": quasi 200 anni fa Alexandre Dumas (padre) ci insegnava l'apprendimento "filosofico"

C'è un passo bellissimo tratto dal romanzo "Il Conte di Montecristo": si tratta di una conversazione che si svolge in carcere tra due detenuti d'eccezione, Edmond Dantès, il protagonista, e l'abate Faria. 
I due sono costretti a trascorrere anni nello stesso penitenziario, entrambi condannati ingiustamente. Edmond è un marinaio promosso a comandante poco rima dell'arresto; l'abate è un coltissimo religioso italiano.
Edmond desidera imparare il più possibile da lui e gli chiede: "Voi dovreste insegnarmi un poco di quanto sapete, non fosse altro che per non annoiarvi con me."

La conversazione prosegue:

“Due anni!” disse Dantès. “Credete che io possa imparare tutte queste cose in due anni?” 

“Nella loro applicazione no; nei loro principi sì. L’imparare non è lo stesso che sapere: vi sono gli eruditi e gli scienziati, la memoria forma i primi, la filosofia i secondi.” 

“Ma la filosofia non si può imparare?” 

“La filosofia non s’impara, la filosofia è la riunione delle scienze imparate nel genio che le applica.”

Ecco, l' "imparare non è lo stesso che sapere". Alexandre Dumas "padre" è in grado, già nel 1844 (anno in cui il romanzo iniziò ad uscire a puntate), di insegnarci una massima sull'apprendere: una cosa è l'erudizione, vale a dire la somma di fatti, concetti, curiosità, memorizzati e immagazzinati.

Altra cosa è la sapienza, che trasforma la conoscenza in cultura, e sapienza vuol dire "ciò che ha il sale, ciò che dà sapore".

L'erudizione, insomma, è una conoscenza quantitativa, la sapienza è qualitativa.

E c'è un altro passaggio molto interessante: come si coltiva la sapienza? Dumas risponde in modo lapidario: con la filosofia:

“La filosofia non s’impara, la filosofia è la riunione delle scienze imparate nel genio che le applica.”

Ecco, che genere di filosofia è mai questa? 

Si tratta dello sguardo della conoscenza sul TUTTO, si tratta della ricomposizione dei saperi, dopo averli frammentati, verso una conoscenza complessiva della realtà, e non è affatto detto che arrivi mai o che arrivi in modo definitivo.

La sapienza porta alla ricerca di uno sguardo coerente e generale sul mondo, e questo è un approccio squisitamente filosofico che spesso manca al nostro "fare scuola" quotidiano.

Il rischio delle nostre scuole è la settorializzazione, la parzializzazione della conoscenza. È come se insegnassimo ai nostri studenti questa o quella strada senza metterli in condizione di leggere le carte geografiche e le mappe in modo da orientarsi da sé in ogni ambiente, in ogni territorio. È come, ancora, se fornissimo loro costantemente della farina senza insegnare invece le pratiche per coltivare il grano.

La sapienza è uno sguardo dall'alto sulla realtà, è il tentativo filosofico di tenere insieme le parti, lo sforzo di trovare leggi universali, la "riunione delle scienze imparate". È la sintesi dei saperi in un orizzonte di senso (ammesso che ci sia). E quello che la scuola e, peggio ancora, le università - spesso frammentate in settori, in specializzazioni, in ambiti di indagine - non fanno è proprio uno sforzo di sintesi.


venerdì 5 agosto 2022

Invece di dire... Prova a dire...: Le parole per educare i bambini con amorevole fermezza

Le parole, lo sappiamo, hanno un peso. A seconda delle parole che scegliamo, dell'intonazione della frase, del tipo di frase, possiamo ferire o incoraggiare, stimolare o inibire, chiudere o aprire. Soprattutto possiamo ottenere o no ciò che chiediamo.

Usare bene le parole è una competenza richiesta a chiunque lavori nel mondo dell'educazione: ai genitori, anzitutto, ma anche agli insegnanti, agli educatori, ai terapeuti.

Il libro che proponiamo in questo caso insegna proprio agli adulti ad usare correttamente le parole con i bambini, secondo il principio dell' "amorevole fermezza": insomma, l'adulto chiede, ed è gusto che sia così, e chiede nel modo migliore, salvaguardando la serenità di chi riceve la richiesta, educando.

Quante volte hai sgridato in malo modo i tuoi figli per poi rimpiangere subito dopo di averlo fatto? Quante volte non hai detto la frase giusta al momento giusto per tranquillizzarli? Quante volte, insomma, non sei stato all'altezza del genitore che pensi di poter essere?

Per rispondere a queste domande ora c'è un libro scritto con la sensibilità di una mammaAlli Beltrame, e l'esperienza di un'insegnante, Laura Mazzarelli.
Troverete istruzioni su come affrontare i capricci, le ore di TV o smartphone in modo costruttivo, decaloghi su come farsi ascoltare o gestire la lagna, consigli su come impostare un vero e proprio linguaggio educativo. Insomma, 
un vademecum che ti insegnerà, passo dopo passo, situazione dopo situazione, a parlare ai tuoi figli con amorevole fermezza: perché non è mai troppo tardi per diventare il genitore che vorresti essere.

VAI AL LIBRO "Invece di dire ... Prova a dire..."

martedì 14 giugno 2022

Paolo Crepet su come trattare i ragazzi: ciò che tutti dovrebbero ascoltare (soprattutto genitori e insegnanti)

Un intervento di Paolo Crepet sul rapporto educativo tra genitori e figli, tra insegnanti e studenti. Parole che fanno riflettere, che tutti dovrebbero ascoltare. 

Parole da cui ci rendiamo conto di quanto spesso sono diseducativi coloro che dovrebbero educare.
 

VAI AL VIDEO CLICCANDO QUI

Oppure guardalo in basso:

Libri Consigliati:

- Paolo Crepet, La gioia di educare: Non siamo capaci di ascoltarli-Voi, noi-I figli non crescono 
più, Einaudi 

- Paolo Crepet, Il coraggio. Vivere, amare, educare, Mondadori

- Paolo Crepet, Lezioni di sogni. Un metodo educativo ritrovato, Mondadori

- Paolo Crepet, Passione, Mondadori

giovedì 2 giugno 2022

Perché il bacio sulla bocca ad un bambino è un gesto sbagliato - di Alberto Pellai

Di Alberto Pellai (con fonte e riferimenti social in fondo)

In questi giorni sui social ha imperversato una polemica relativa ai genitori che baciano in bocca i propri figli. È un gesto che si vede sempre più spesso fotografato anche nei profili di genitori famosi che sui loro social si mostrano coinvolti in questa azione con i proprio figli. In parte, il dibattito è scaturito quando è apparsa ed è stata diffusa su scala globale la foto di D. Beckham che bacia sulla bocca sua figlia Harper.

Diciamocelo chiaramente: è un gesto sbagliato. Senza se e senza ma. Perché gli adulti hanno la responsabilità di offrire tenerezza e contatto ai loro bambini senza mai ricorrere a gesti che possono essere fonte di eccitazione o sensazioni intense. Il tocco e il contatto dei genitori verso i propri bambini è il primo insegnamento che essi ricevono sull’importanza di rispettare i confini corporei. L’intimità che un genitore regala al proprio bambino è affettiva, ma non è amorosa.

Ad un bambino si deve dire “Ti voglio bene” e non dire “Ti amo”.

Ad un bambino si danno baci sulle guance, ma non sulle labbra. Ad un bambino si fanno le coccole, non tocchi eccitatori e sensuali. Dire “Ti voglio bene”, baciare sulle guance, coccolare comunica affetto ed è il linguaggio che promuove contatto emotivo tra adulto e bambino.

Dire “Ti amo”, baciare sulle labbra, toccare in modo da produrre eccitazione sensuale appartiene al linguaggio dell’amore e serve a generare intimità corporea tra due persone che possono dare consenso a tutto ciò perché ne conoscono i linguaggi, i significati, le implicazioni, le conseguenze.

Ogni gesto che riguarda il corpo del bambino è un gesto che gli deve comunicare affetto e che al tempo stesso deve formare in lui la percezione di quali sono i suoi confini corporei, ovvero quei limiti che nessuno può valicare senza il suo consenso. Un consenso che potrà dare solo quando avrà le competenze per distinguere ciò che è affetto da ciò che è amore.

Che cosa pensereste se vedeste uno zio, un maestro o un allenatore dare un bacio sulla bocca al vostro bambino? Probabilmente interverreste fermamente chiedendo che quella cosa non accada mai più. Quindi, se quel gesto è inappropriato se fatto da un adulto verso un bambino, resta inappropriato anche quando viene compiuto dai genitori. Vale per il bacio sulla bocca quello che vale per lo schiaffo. Non vorremmo mai che un adulto schiaffeggiasse i nostri figli. Questo rimane un buon razionale per imparare – noi stessi genitori – a non dare mai schiaffi ai nostri figli. Perché il rispetto che l’adulto deve al bambino, non cambia a seconda di chi lo deve mettere in gioco. Tutti gli adulti, genitori compresi, devono rispettare i bambini.

E i baci sulla bocca – così come gli schiaffi – non sono gesti rispettosi. Punto e basta. Se pensi che questa comunicazione sia utile ad altri genitori, condividila. Il dibattito, naturalmente resta aperto. Ma in questo caso, mi sento di chiedervi fiducia incondizionata: per una volta fidatevi di ciò che ogni buon professionista vi direbbe a proposito di questo argomento.


Fonte: https://www.facebook.com/profile.php?id=100044165512791

martedì 31 maggio 2022

Perché fai così? Capire i bambini e i loro comportamenti apparentemente illogici

 I bambini hanno i loro simboli, i loro linguaggi e le loro buone ragioni: tutto sta nel conoscerli e nel saperli interpretare. 

Difatti, quante volte vi siete chiesti perché i vostri figli dicono sempre di no? Quante volte li avete sgridati perché non vi ascoltano o perché dicono le parolacce? Quante volte, insomma, avete domandato ai vostri figli: perché fai così?

Questo libro di Alli Beltrame fornisce le risposte a questi e ad altri quesiti; si tratta di un traduttore simultaneo per decifrare cosa i bambini vogliono dirci davvero. 

Che siate genitori, insegnanti, educatori, questo libro fa per voi e migliora la competenza con cui rivestite i vostri ruoli. Consigliato!

VAI AL LIBRO: Perché fai così? di Alli Beltrame

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"Come parlare perché i bambini ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino": i consigli di Adele Faber e Elanie Mazlish

"Come parlare perché i ragazzi ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino": un bellissimo libro da leggere


martedì 17 maggio 2022

"Come parlare perché i ragazzi ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino": un bellissimo libro da leggere

Di tanto in tanto, quando incappiamo in libri davvero interessanti e a tema con la scuola e la pedagogia, non possiamo non farne menzione. Questa volta ne segnaliamo uno davvero utile per chi fa il genitore, l'insegnante, l'educatore e, insomma, per chiunque voglia azzeccare la giusta strategia di comunicazione quando ha a che fare con gli adolescenti, con coloro, cioè, che vivono la più "ingrata" delle età.

Adele Faber e Elaine Mazlish, esperte nella comunicazione intergenerazionale, sono note al pubblico di tutto il mondo per il loro manuale "Come parlare perché i bambini ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino". E quando i bambini non sono più bambini? Con ragazzi e adolescenti la comunicazione, si sa, è ancora più difficile. Ma questo manuale, con il suo stile affabile e il taglio pratico, arricchito da vignette e testimonianze, mostra come comportarsi anche durante la cosiddetta "età ingrata", tanto più complessa nel mondo digitalizzato e perennemente connesso in cui vivono i nostri figli. Una guida sicura che vi spiegherà come affrontare, tra l'altro, questioni spinose tipo: il senso delle punizioni, l'importanza di rispettare gli orari, i pericoli delle "cattive compagnie", l'uso di fumo, alcol, droghe, i sentimenti e il sesso, i pericoli di Internet.

 VAI AL LIBRO "COME PERLARE PERCHÉ I RAGAZZI TI ASCOLTINO & COME ASCOLTARE PERCHÉ TI PARLINO"

Gli stessi autori hanno scritto anche il bestseller:

Come parlare perché i bambini ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino

venerdì 12 novembre 2021

venerdì 7 agosto 2020

Fare un errore non vuol dire essere sbagliati: mai, da educatori, identificare l'errore con l'errante - Di Alberto Pellai

Ancora una volta riportiamo i pensieri di Alberto Pellai tratti dalla sua pagina Facebook; pensieri sempre profondi, sempre ben espressi e sempre utili per genitori, insegnanti, educatori.

In questo caso si parla del rimprovero a seguito di un errore. A quanti di noi almeno una volta è scappato: "Sei un buono a nulla!", oppure, anche quando siamo stati capaci di trattenere le parole, ci siamo traditi con il linguaggio non verbale, con i gesti, gli sguardi, la postura...

Si può educare con l'errore, anzitutto non identificando chi ha sbagliato con il suo errore: è un atto ad essere sbagliato, un compito, un'azione, non la persona!

Un errore è un errore.
Fare un errore vuol dire aver fatto uno sbaglio. Ma non vuol dire essere sbagliati. Se quando sbaglio l'unica cosa che sai fare è sgridarmi dicendomi: "Sei sempre il solito", oppure: "Di te non ci si può proprio fidare" o ancora peggio: "Sei un idiota", tu mi trasformi nel mio errore e io comincio a pensare che probabilmente non ce la farò mai a essere come dovrei essere. 

Educare è trasformare l'esperienza dell'errore in esperienza di crescita. Saperlo fare vuol dire essere educatori attenti e competenti. 

La dote che serve di più è la pazienza e la capacità di capire qual è il limite dell'altro e qual è l'allenamento alla vita che serve per trasformare il suo limite in risorsa.

Il detto "Sbagliando si impara" è verità allo stato puro, ma diventa realtà solo se quando si sbaglia, abbiamo vicino un allenatore alla vita che sa guardare oltre l'errore e comprendere e guardare negli occhi e nel cuore di chi quell'errore lo ha fatto.

La vita si impara.

venerdì 31 luglio 2020

Insegnare vuol dire prima di tutto creare relazioni: la storia del piccolo Teddy e della maestra Thompson

Alunni con DSA e BES: il ruolo di una buona relazione insegnante ...

Una bellissima storia narrata da Elizabeth Silance Ballard.

Immaginiamo cosa sarebbe stato di Teddy se anziché il contatto con l'insegnato fosse stato dall'altra parte del monitor con la didattica a distanza.


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Mentre se ne stava davanti alla sua classe di quinta elementare, il primo giorno di scuola, la maestra disse ai bambini una falsità. Come la maggior parte degli insegnanti, guardò i suoi studenti e disse che lei li amava tutti allo stesso modo.

Tuttavia, ciò era impossibile perché lì in prima fila, accasciato sulla sedia, c’era un ragazzino di nome Teddy Stoddard. La signora Thompson aveva osservato Teddy l’anno precedente e aveva notato che non giocava serenamente con gli altri bambini…
I suoi vestiti erano disordinati e spesso avrebbe avuto bisogno di farsi un bagno. Inoltre, Teddy era scontroso e solitario.

Arrivò il momento in cui la signora Thompson avrebbe dovuto evidenziare in negativo il rendimento scolastico di Teddy; prima però volle consultare i risultati che ogni bambino aveva raggiunto negli anni precedenti; per ultima, esaminò la situazione di Teddy.

Tuttavia, quando vide il suo fascicolo, rimase sorpresa.
In prima elementare il maestro di Teddy aveva scritto: “Teddy è un bambino brillante con una risata pronta. Fa il suo lavoro in modo ordinato e ha buone maniere”.
Il suo insegnante, in seconda elementare, aveva scritto: “Teddy è uno studente eccellente, ben voluto dai suoi compagni di classe, ma è tormentato perché sua madre ha una malattia terminale e la vita in casa deve essere una lotta”.

Il suo insegnante di terza elementare aveva scritto: “La morte di sua madre è stata dura per lui e tenta di fare del suo meglio, ma suo padre non mostra molto interesse e, se non verranno presi i giusti provvedimenti, il suo contesto famigliare presto lo influenzerà”.
Infine l’insegnante del quarto anno aveva scritto: “Teddy si è rinchiuso in se stesso e non mostra più interesse per la scuola. Non ha amici e qualche volta dorme in classe”.
A questo punto, la signora Thompson si rese conto del problema e si vergognò di se stessa. Si sentì anche peggio quando i suoi studenti le portarono i regali di Natale, avvolti in bellissimi nastri e carta brillante, fatta eccezione per Teddy. Il suo dono era stato maldestramente avvolto nella pesante carta marrone di un sacchetto di generi alimentari.

La signora Thompson però aprì il regalo prima degli altri. Alcuni bambini cominciarono a ridere quando videro un braccialetto di strass con alcune pietre mancanti e una bottiglietta di profumo piena per un quarto, ma lei soffocò le risate dei bambini esclamando quanto fosse grazioso il braccialetto e mettendo un po’ di profumo sul polso.

Quel giorno Teddy Stoddard rimase dopo la scuola, giusto il tempo di dire: “Signora Thompson, oggi profumava come la mia mamma quando usava proprio quel profumo”.
Dopo che i bambini se ne furono andati, la signora Thompson pianse per almeno un’ora; da quel giorno si dedicò veramente ai bambini e non solo per insegnare loro le sue materie. Prestò particolare attenzione a Teddy e, con la sua vicinanza, la mente del piccolo iniziò a rianimarsi. Più lei lo incoraggiava, più velocemente Teddy rispondeva. Alla fine dell’anno, Teddy era diventato uno dei bambini più intelligenti della classe e, nonostante la sua bugia che avrebbe amato tutti i bambini in ugual modo, la maestra si accorse che Teddy divenne uno dei suoi “preferiti”.

Un anno dopo la fine della scuola, la signora Thompson trovò un biglietto sotto la porta: era da parte di Teddy; la lettera diceva che era stata la migliore insegnante che avesse mai avuto in vita sua. Passarono sei anni prima che ricevesse un altro messaggio da Teddy. Terminato il liceo, terzo nella sua classe, riferiva che la signora Thompson era ancora la migliore insegnante che avesse mai avuto in vita sua.

Quattro anni dopo, ricevette un’altra lettera, dicendo che quando le cose erano difficili, a volte, era rimasto a scuola, si era impegnato al massimo e ora si sarebbe presto laureato al college con il massimo degli onori. Confermava che la signora Thompson era sempre la migliore insegnante che avesse mai conosciuto in tutta la sua vita, la sua preferita.

Passarono altri anni e arrivò ancora un’altra lettera. Questa volta spiegava che dopo aver ottenuto la laurea, aveva deciso di andare avanti. La lettera spiegava che lei era ancora la migliore e preferita insegnante che avesse mai avuto, ma ora la sua firma era un po’ più lunga. La lettera riportava, in bella grafia, Dr. Theodore F. Stoddard.

Ma la storia non finisce qui. Arrivò ancora un’altra lettera quella primavera. Teddy scrisse che aveva incontrato una ragazza e stava per sposarsi. Spiegò che suo padre era morto un paio di anni prima e chiese alla signora Thompson di accompagnarlo al matrimonio facendo le veci della madre dello sposo.
Naturalmente, la signora Thompson accettò. E indovinate un po’ che fece?
Indossò proprio quel braccialetto, quello con gli strass mancanti, quello che Teddy le aveva regalato; fece anche in modo di mettere il profumo che la madre di Teddy indossava l’ultimo Natale che passarono insieme.
Si abbracciarono e il Dr. Stoddard sussurrò all’orecchio della signora Thompson:
“Grazie signora Thompson per aver creduto in me. Grazie mille per avermi fatto sentire importante e per avermi mostrato che avrei potuto fare la differenza.”
La signora Thompson, con le lacrime agli occhi, sussurrò: “Teddy, ti stai sbagliando. Sei tu quello che mi ha insegnato che potevo fare la differenza: non sapevo come insegnare fino a quando ti ho incontrato.”

Home Life, Elizabeth Silance Ballard, 1976.

mercoledì 15 luglio 2020

Cinque lezioni leggere sull'emozione di apprendere, di Daniela Lucangeli


Un'ottima lettura che proponiamo per queste settimane estive, tra le altre che troverete su questo sito, è il libro di Daniela Lucangeli (in basso trovi la sua presentazione) "Cinque lezioni leggere sull'emozione di apprendere", edito da Erickson.
Si tratta di una lavoro utile, motivante, interessante, narrato piacevolmente ed in modo scorrevole.
Si divide in 5 capitoli, che riportiamo di seguito, con una breve didascalia.

Il libro lo trovi a questo link

Lezione 1: la scuola dell’abbraccio
 Le emozioni sono così spiegate come flussi di corrente neuroelettrica che lasciano una traccia indelebile nelle nostre memorie. Per questo motivo è necessario che ogni insegnante conosca bene le emozioni che “transitano” nell’apprendimento: “ci si può occupare di apprendimento se, e solo se, si comprende la potenza della sincronicità fra le informazioni e le memorie emozionali”.

Lezione 2: sbagliando si impara
Essere alleati degli studenti "contro" gli errori: in questo modo l'errore diventa una chiave di lettura del percorso cognitivo ed emotivo di ogni singolo studente, perché ci aiuta a capire dove ha incontrato difficoltà nel suo percorso di apprendimento. 

Lezione 3: verso il successo scolastico
 Le emozioni che accompagnano il successo scolastico, come “l’intuizione, la creatività nella soluzione dei problemi e una disposizione ottimistica verso l’impegno che si deve affrontare” dovrebbero essere sostenute, con l’obiettivo di promuovere il benessere scolastico di tutti. Come sostenere queste emozioni positive?

Lezione 4: stare male a scuola
In questa lezione sono riportati i dati di un’indagine condotta in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, in cui si rileva che il 73% degli studenti intervistati dichiara di stare male a scuola.
Di fronte a questo malessere diffuso, è importante promuovere la possibilità di stare bene fin dai primi anni di scolarizzazione.


Lezione 5: tutti bravi con i numeri
 L’ultima lezione riguarda uno degli ambiti di specializzazione dell’autrice: l’intelligenza numerica. Partendo dal presupposto scientifico che “la forma più antica di intelligenza che noi possediamo, la prima che compare, è proprio l’intelligenza numerica di quantità”, Daniela Lucangeli offre preziose indicazioni per tutti coloro che intendano promuovere l’intelligenza, fin dai primi anni di vita.

Per andare al libro clicca di seguito:



Daniela Lucangeli è Professore Ordinario in Psicologia dell'Educazione e dello Sviluppo (2005) presso l’Università di Padova. Presidente Accademia Mondiale delle Scienze Learning Disabilities (International Academy for Research in Learning Disabilities – IARLD) Sessione Sviluppo (2015); Presidente Nazionale CNIS (Associazione per il Coordinamento Nazionale degli Insegnanti Specializzati e la ricerca sulle situazioni di Handicap); Presidente Comitato Scientifico Polo Apprendimento;

 Socio di numerose associazioni scientifiche internazionali e nazionali nell'ambito del Developmental Sciences. Prorettrice con delega all'orientamento e tutorato per l’Università degli Studi di Padova per la continuità formativa Scuola-Università-Lavoro ( dal 2007 ad oggi). 

Le sue principali aree di ricerca sono: i processi maturazionali del neurosviluppo con particolare attenzione al rapporto tra apprendimento ed emozioni. Gli ambiti di ricerca sperimentale in specifico riguardano i trend evolutivi (intelligenza numerica) e difficoltà di apprendimento.

sabato 21 marzo 2020

"Mio figlio in questi giorni non studia!". La risposta: "NON IMPORTA!". Messaggio di Vittoriano Caporale

Risultato immagini per didattica a distanza

Riportiamo dal web:

MESSAGGIO DEL PROF. DI STORIA DELLA PEDAGOGIA Vittoriano Caporale



Care mamme, cari papà, cari insegnanti, cari amici,

sto sentendo molti di voi che si stanno lamentando e preoccupando perché i figli non svolgono i compiti assegnati e non studiano come al solito.

Vi dico con tutto il cuore e con la scienza pedagogica e l' esperienza didattica acquistata in 50 anni di insegnamento all'università: NON IMPORTA!

In questi giorni i vostri figli-scolari stanno imparando quello che il pedagogista bitontino GIOVANNI MODUGNO chiamava SCIENZA DELLA VITA e che la scuola verbalistica, astratta, mnemonica e burocratica non insegna!

- Stanno imparando ad affrontare le difficoltà impreviste, a rinunciare alla libertà dei movimenti e delle relazioni amicali per il bene comune.

- A capire che la salute è un bene da salvaguardare anche se comporta tante rinunce e il ridimensionamento delle abitudini quotidiane.

- Stanno imparando il valore dell' ATTESA e della SPERANZA.

- Stanno apprezzando tutto quello che ogni casa offre: libri, giocattoli, TV, cani, gatti, uccellini e altri animali e cose.

- Stanno imparando a pregare, a capire che l'umanità è un'unica grande famiglia che soffre e che spera, al di là dei confini geografici.

- Stanno imparando l' importanza della solidarietà che può essere rafforzata col sorriso, con la parola affettuosa, col ricordo.

- Stanno sperimentando che i cellulari, i tabet e le altre tecnologie fanno sentire meno soli, a comunicare con gli amici vicini e lontani, a esprimere i nostri sentimenti e a volerci più bene.

Vi saluto tutti con l'affetto di un anziano professore di storia della pedagogia, padre e nonno

Vittoriano Caporale

domenica 16 febbraio 2020

Ci sono cose da dire ai nostri figli ...



Prendiamo questa bellissima riflessione dal web e la riproponiamo qui, perché è bella, perché fa pensare. Grazie a Cinzia Pennati

𝐶𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑐𝑜𝑠𝑒 𝑑𝑎 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑎𝑖 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑟𝑖 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖. 𝐶𝑜𝑚𝑒 𝑎𝑑 𝑒𝑠𝑒𝑚𝑝𝑖𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑖𝑙 𝑓𝑎𝑙𝑙𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑒́ 𝑢𝑛𝑎 𝑔𝑟𝑎𝑛𝑑𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡𝑎̀.
𝑆𝑖 𝑟𝑖𝑐𝑎𝑑𝑒 𝑒 𝑐𝑖 𝑠𝑖 𝑟𝑖𝑎𝑙𝑧𝑎. 𝐷𝑎 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑠’𝑖𝑚𝑝𝑎𝑟𝑎. 𝑁𝑜𝑛 𝑑𝑎 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑜.
𝐷𝑜𝑣𝑟𝑒𝑚𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑎𝑖 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖 𝑚𝑎𝑠𝑐ℎ𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑒 𝑝𝑖𝑎𝑛𝑔𝑜𝑛𝑜, 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑓𝑒𝑚𝑚𝑖𝑛𝑢𝑐𝑐𝑒. 𝐴𝑙𝑙𝑒 𝑓𝑒𝑚𝑚𝑖𝑛𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑔𝑖𝑜𝑐𝑎𝑟𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑙𝑜𝑡𝑡𝑎 𝑜 𝑓𝑎𝑟𝑒 𝑙𝑒 𝑏𝑜𝑐𝑐𝑎𝑐𝑐𝑒 𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑚𝑎𝑠𝑐ℎ𝑖𝑎𝑐𝑐𝑖.
𝐷𝑜𝑣𝑟𝑒𝑚𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑎 𝑛𝑜𝑖𝑎 𝑒̀ 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑏𝑢𝑜𝑛𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑠é. 𝐶ℎ𝑒 𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑜𝑛𝑜 𝑝𝑒𝑛𝑠𝑖𝑒𝑟𝑖 𝑠𝑝𝑎𝑣𝑒𝑛𝑡𝑜𝑠𝑖, 𝑒 𝑑𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑟𝑒𝑜𝑐𝑐𝑢𝑝𝑎𝑟𝑠𝑖.
𝐷𝑜𝑣𝑟𝑒𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑖 𝑝𝑢𝑜̀ 𝑚𝑜𝑟𝑖𝑟𝑒, 𝑚𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒 𝑙𝑎 𝑚𝑎𝑔𝑖𝑎.
𝐴𝑖 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑟𝑖 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖 𝑑𝑜𝑣𝑟𝑒𝑚𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑖𝑙 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑚𝑎𝑡𝑟𝑖𝑚𝑜𝑛𝑖𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑒̀ 𝑖𝑙 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑏𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎. 𝐶ℎ𝑒 𝑐𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑖 𝑠𝑖̀, 𝑒 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑖 𝑛𝑜. 𝐸 ℎ𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖 𝑙𝑜 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒.
𝐶ℎ𝑒 𝑏𝑖𝑠𝑜𝑔𝑛𝑎 𝑠𝑎𝑝𝑒𝑟 𝑠𝑡𝑎𝑟𝑒, 𝑒 𝑏𝑎𝑠𝑡𝑎. 𝐸 𝑐ℎ𝑒 𝑖𝑙 𝑑𝑜𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑠𝑖 𝑠𝑢𝑝𝑒𝑟𝑎.
𝐴𝑖 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑟𝑖 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖 𝑚𝑎𝑠𝑐ℎ𝑖 𝑑𝑜𝑣𝑟𝑒𝑚𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑃𝑟𝑖𝑛𝑐𝑖𝑝𝑖 𝑎𝑧𝑧𝑢𝑟𝑟𝑖 𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑑𝑒𝑣𝑜𝑛𝑜 𝑠𝑎𝑙𝑣𝑎𝑟𝑒 𝑛𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛𝑜. 𝐴𝑙𝑙𝑒 𝑓𝑒𝑚𝑚𝑖𝑛𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛𝑜 𝑙𝑒 𝑠𝑎𝑙𝑣𝑎, 𝑠𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑒. 𝐴𝑙𝑡𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑙𝑒 𝑑𝑜𝑛𝑛𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖𝑛𝑢𝑒𝑟𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑎 𝑚𝑜𝑟𝑖𝑟𝑒 𝑒 𝑔𝑙𝑖 𝑢𝑜𝑚𝑖𝑛𝑖 𝑎𝑑 𝑢𝑐𝑐𝑖𝑑𝑒𝑟𝑒.
𝐴𝑖 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑟𝑖 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖 𝑑𝑜𝑣𝑟𝑒𝑚𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑐’𝑒̀ 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑓𝑖𝑛𝑜 𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑓𝑖𝑛𝑖𝑠𝑐𝑒, 𝑒 𝑐𝑒 𝑛𝑒 𝑎𝑐𝑐𝑜𝑟𝑔𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑡𝑟𝑜𝑝𝑝𝑜 𝑡𝑎𝑟𝑑𝑖.
𝐷𝑜𝑣𝑟𝑒𝑚𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑛é 𝑣𝑖𝑛𝑡𝑖 𝑛é 𝑠𝑐𝑜𝑛𝑓𝑖𝑡𝑡𝑖, 𝑒 𝑙𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑒̀ 𝑢𝑛𝑎 𝑙𝑜𝑡𝑡𝑎.
𝐷𝑜𝑣𝑟𝑒𝑚𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑎 𝑐𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑒𝑟𝑖𝑎 𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒 𝑒𝑑 𝑒̀ 𝑑𝑒𝑛𝑡𝑟𝑜 𝑜𝑔𝑛𝑢𝑛𝑜 𝑑𝑖 𝑛𝑜𝑖. 𝐷𝑜𝑏𝑏𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑐𝑜𝑛𝑜𝑠𝑐𝑒𝑟𝑙𝑎 𝑝𝑒𝑟 𝑔𝑒𝑠𝑡𝑖𝑟𝑙𝑎.
𝐷𝑜𝑣𝑟𝑒𝑚𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑎𝑖 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑢𝑛 𝑝𝑎𝑑𝑟𝑒 𝑒 𝑢𝑛𝑎 𝑚𝑎𝑑𝑟𝑒 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑢𝑛 𝑝𝑜𝑟𝑡𝑜 𝑠𝑖𝑐𝑢𝑟𝑜. 𝐴𝑙𝑐𝑢𝑛𝑖 𝑓𝑎𝑟𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑟𝑖𝑒𝑠𝑐𝑜𝑛𝑜 𝑎 𝑓𝑎𝑟𝑒 𝑙𝑢𝑐𝑒.
𝐶ℎ𝑒 𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑛𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒. 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 𝑛𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒.
𝐶ℎ𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑠𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑚𝑎𝑙𝑒. 𝐿𝑎 𝑠𝑜𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑐𝑖 𝑠𝑝𝑖𝑛𝑔𝑒 𝑖𝑛 𝑎𝑣𝑎𝑛𝑡𝑖. 𝐸 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎 𝑜 𝑝𝑜𝑖 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑎.
𝐷𝑜𝑣𝑟𝑒𝑚𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑎𝑖 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑟𝑖 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑎𝑣𝑒𝑟𝑒 𝑠𝑢𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑒 𝑣𝑖𝑣𝑒𝑟𝑒 𝑓𝑒𝑙𝑖𝑐𝑖 𝑙𝑜 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑜. 𝐴𝑛𝑧𝑖, 𝑓𝑜𝑟𝑠𝑒, 𝑙𝑜 𝑠𝑎𝑟𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑖𝑢̀.
𝐶ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑖𝑚𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎 𝑠𝑒 𝑖 𝑑𝑒𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑖 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑛𝑜, 𝑚𝑎 𝑙’𝑖𝑚𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑒̀ 𝑑𝑒𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑎𝑟𝑒. 𝐹𝑖𝑛𝑜 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑓𝑖𝑛𝑒.
𝐵𝑖𝑠𝑜𝑔𝑛𝑎 𝑑𝑖𝑟 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑒 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑖 𝑠𝑝𝑜𝑠𝑒𝑟𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑓𝑎𝑟𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖, 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑓𝑒𝑙𝑖𝑐𝑖 𝑙𝑜 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑜.
𝐶ℎ𝑒 𝑖𝑙 𝑚𝑜𝑛𝑑𝑜 ℎ𝑎 𝑏𝑖𝑠𝑜𝑔𝑛𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑖𝑚𝑝𝑒𝑔𝑛𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑢𝑛 𝑙𝑢𝑜𝑔𝑜 𝑏𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑖𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑠𝑜𝑠𝑡𝑎𝑟𝑒.
𝐶ℎ𝑒 𝑙𝑎 𝑝𝑜𝑣𝑒𝑟𝑡𝑎̀ 𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒 𝑒 𝑑𝑜𝑏𝑏𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑓𝑎𝑟𝑐𝑒𝑛𝑒 𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐𝑜.
𝐶ℎ𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑣𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜𝑛𝑜. 𝑀𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑎 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖 𝑖 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖.
𝐶ℎ𝑒 𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒 𝑖𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑑𝑜𝑛𝑜. 𝐸 𝑠𝑖 𝑝𝑢𝑜̀ 𝑐𝑒𝑑𝑒𝑟𝑒 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑡𝑎𝑛𝑡𝑜, 𝑝𝑒𝑟 𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑑𝑒𝑟𝑒 𝑖𝑛𝑠𝑖𝑒𝑚𝑒.
𝐴𝑖 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖 𝑑𝑜𝑣𝑟𝑒𝑚𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑎𝑛𝑑𝑎𝑟𝑒 𝑙𝑜𝑛𝑡𝑎𝑛𝑜. 𝑀𝑜𝑙𝑡𝑜 𝑙𝑜𝑛𝑡𝑎𝑛𝑜. 𝐷𝑜𝑣𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑙𝑖 𝑣𝑒𝑑𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑝𝑖𝑢̀.
𝐸 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑖 𝑠𝑎𝑟𝑒𝑚𝑜 𝑞𝑢𝑖. 𝑄𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑣𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜𝑛𝑜 𝑡𝑜𝑟𝑛𝑎𝑟𝑒.

A cura di Cinzia Pennati di Sosdonne

sabato 12 ottobre 2019

"La mamma di Attila": come sostenere la crescita di un adolescente guerriero - Un libro di Barbara Tamborini

Come si può sostenere la crescita di un adolescente guerriero? E, in particolare, che ruolo spetta alle mamme?
Risultati immagini per la mamma di attila
Da un paio di giorni è disponibile in tutte le librerie il libro "La mamma di Attila", edito da Solferino Editore. L’ha scritto Barbara Tamborini e sfida genitori ed educatori, ma in particolare le mamme, a riflettere sulla complessità crescente dei ruoli educativi di fronte alla generazione dei millennials, una generazione variegata che vede al suo interno ragazzi chiusi in casa davanti ai videogiochi e gli impegnati che scendono in piazza, i violenti e gli indomiti.
L’analisi presente nel libro parte da un dato di fatto che accomuna tutti gli adolescenti: l’energia straripante, la spinta in avanti verso la vita.
 E’ una dimensione che possiedono tutti. Ma che poi mettono in gioco in modo alquanto differente. Che ruolo hanno le mamme di fronte alla straripante energia dei loro figli “tsunamici”? 
Come il codice materno si inserisce nel sostegno alla crescita e cambia nel passaggio da bambino a preadolescente ad adolescente? 
Fortemente ancorato agli assunti della teoria dell’attaccamento di J.Bowlby, “La mamma di Attila” è un libro che parla della “MAMMA” come archetipo e poi lo declina in tutti i differenti modelli materni, permettendo ad ogni lettore di trovare il codice materno da cui è stato “modellato” e ad ogni mamma di identificare quello che più le è proprio nella relazione con i propri figli. Così nel volume si parla della mamma di Attila, ma anche di tante altre mamme:
quella di Leonardo, quella di Hitler, quella di Marylin Monroe fino ad arrivare alla mamma di Federica Pellegrini
Che cosa accomuna queste mamme? Che cosa le differenzia? Che responsabilità hanno rispetto a ciò che i loro figli e figlie hanno realizzato nella (e della) loro vita?

Come ben spiega la scheda del volume “questo libro è un inno di solidarietà tra genitori e un manuale di resistenza umana: per individuare i rischi che corrono gli adolescenti e gestire al meglio momenti difficili come la separazione, la trasgressione, la rabbia. Per stimolare la riflessione sui nostri modelli educativi, aiutarci a riconoscere automatismi e blocchi che minano le nostre relazioni e migliorare la nostra capacità di vivere legami sicuri”.

Buona lettura!

Il Libro cartaceo lo trovi qui: LA MAMMA DI ATTILA

domenica 13 marzo 2016

"Il bambino e il suo ambiente": libro gratuito da scaricare del dr. Emidio Tribulato

Al link in basso è possibile scaricare gratuitamente un libro in formato PDF di 361 pagine, realizzato dal dott. Emidio Tribulato ed offerto gratuitamente dal Centro Studi Logos.

Per la presentazione riporto esattamente il testo estrapolato dal sito.
Questo nuovo libro del dott. Emidio Tribulato affronta il problema dell’influenza dell’ambiente esterno sul bambino, già a partire dal ventre materno fino al periodo preadolescenziale.
Utilizzando una prosa chiara e accattivante vengono di volta in volta esaminati i vari tipi di ambienti affettivo - relazionali con i quali il bambino è costretto a confrontarsi durante la sua infanzia. 
Ambienti a volte ricchi di amore, tenerezza,  serenità, gioia, equilibrio, disponibilità ed accoglienza. Ambienti, altre volte affettivamente carenti o disturbati a causa delle ansie, delle paure, delle tristezze, dei conflitti e dell’aggressività che li pervadono.
Per fare ciò l’autore mette a confronto non solo le sue personali esperienze di medico, neuropsichiatra infantile con quelle dei vari studiosi che l’hanno preceduto ma, utilizzando i disegni dei bambini e i loro stessi racconti, mette in luce i bisogni, i desideri, le paure, le perplessità e le angosce che scuotono spesso l’animo dei minori, avvalendosi delle loro stesse espressioni emotive.
Questa metodica permette al lettore di cogliere più facilmente non solo le teorie e le riflessioni elaborate dagli studiosi, ma dirette e fresche immagini, parole ed impressioni che sgorgano direttamente dall’animo dei minori quando sono coinvolti, loro malgrado, in svariate situazioni di disagio.

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sabato 23 gennaio 2016

"Valutazione senza idee", di Benedetto Vertecchi

Un intervento del professor Benedetto Vertecchi, liberamente scaricabile dal portale www.academia.edu.

Benedetto Vertecchi è un luminare della pedagogia e, in special modo, della docimologia, la scienza della valutazione; chiunque abbia compiuto studi pedagogico-didattici avrà senz'altro avuto a che fare con alcuni sui testi, come ad esempio il Manuale della valutazione, oppure Le parole della scuola.

In questo contribuito, dal titolo Valutazione senza idee, Benedetto Vertecchi ragiona sulle pratiche valutative attuali, sul modo che le scuole hanno di approcciare al "problema valutazione" e, soprattutto, quanto questo sia ancora inadeguato ad opporsi al determinismo naturale, per il quale le opportunità vengono colte da chi già è avvantaggiato, per motivi socio-economici o socio-culturali, nel processo di affermazione ed emancipazione personale e lavorativa.

Il testo, di appena 3 pagine, offre spunti pedagogici interessanti su cui confrontarsi e su cui riflettere. Esso è scaricabile dalla pagine a cui rimanda il link in basso, accedendo semplicemente (quando non ci si voglia registrare sul sito) tramite il proprio account Facebook o Google.

venerdì 6 novembre 2015

Massimo Recalcati: "Amare chi impara" - Un articolo di Elena Ruzza

Articolo della dott.ssa Elena Ruzza - Insegnante
“Amare chi impara”.
Massimo Recalcati 
Giornata di studio rivolta agli insegnanti
E’ un sabato mattina a Pavia e ad ascoltare le parole di Massimo Recalcati, noto psicoanalista e autore di numerosi testi, c’è un pubblico di maestre, professori, ma anche qualcuno non addetto ai  lavori nel mondo della scuola.
Si tratta di un pubblico motivato e ‘pronto a combattere’, ma questa lezione ascoltata nella sala del camino del Broletto destabilizza e disorienta. 
Reinventa e ridisegna la scuola e i suoi soggetti principali.
Recalcati non aggiunge nulla rispetto a quanto ognuno sa sull’argomento scuola ed educazione, ma ha il grande pregio di rendere consapevoli  di quello che l’insegnante è, o ha smesso di essere e potrebbe cominciare a pensare di diventare, dopo aver riflettuto sulle tematiche affrontate nel suo discorso a commento del libro “L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento”.
L’argomento principale  è infatti "come ci salva dall’usura dell’insegnamento?" Come si può abitare la ripetizione di una scena che continuamente si ripete?
La risposta che viene data da Recalcati  è ‘ricominciare’. Saper ricominciare trovando la forza soggettiva, ogni volta, di ripartire dal principio.
Questa soluzione scatena quasi indispettita la domanda: “Come può lo stesso Insegnante ricominciare di nuovo ogni volta?”

Le armi sono due: la parola e l’amore.

Ogni volta, attraverso la parola, l’insegnante spiega quello che sa. Ed ogni volta sono proprio le parole della sua lezione che hanno il potere di essere nuove, di trasformarsi in un sapere univoco, ma mai uguale.
Diceva Gentile: “ho fatto una buona lezione solo se alla fine ho imparato anche io qualcosa”.

Un insegnante quando spiega si diverte ed è capace di improvvisare tanto quanto sa rimanere ancorato al contenuto della sua disciplina.

 Questa pratica è certamente rischiosa se si pensa alla possibilità di poter perdere il filo di un discorso oggettivo, ma è la sola capace di attraversare di nuovo le parole di una lezione altrimenti sempre uguale a se stessa.

Amore
Recalcati parla di una dimensione erotica del sapere. L’amore e la passione per il sapere sono paragonabili all’amore erotico per un corpo. Il desiderio, l’odore della carne, il profumo dei capelli sono le stesse concrete sensazioni da provare nel rapporto con la disciplina che si insegna. Per insegnare bene dunque bisogna amare la propria materia. Se un insegnante ha questo rapporto erotico con ciò che insegna, trasforma l’allievo da recipiente ad amante, viene acceso, messo in movimento.

Recalcati sostiene poi l’importanza di “preservare il giusto posto dell’impossibile”, l’unico capace di “erotizzare” il sapere.  Chi insegna si occupa di vite di persone a cui non si deve trasmettere, chiarire, inculcare, riempire ma far provare quel piacere, davvero erotico, che mette in atto il sangue, la carne e i peli che si rizzano per quello che accade, quando un bravo maestro, insegnante, ma anche genitore, riesce a procurare emozioni a chi gli sta di fronte.

 E allora è indispensabile lo stile. Lo spiega a chiare lettere: Ogni insegnante insegna a partire da uno stile che lo contraddistingue. Non si tratta di tecnica né di metodo”.

Quest’immagine di scuola è lontana da quella reale perché la scuola per la quale si prova passione e desiderio, quasi carnale, attraverso la descrizione di Recalcati, è una scuola che apre alle possibilità, perché chi impara possa, innanzitutto, essere messo nella disposizione di imparare ad imparare. E chi ha la pretesa di insegnare è nella stessa condizione. Si tratta di un sapere che si fa e non si soddisfa mai. E’ in continuo divenire. Non è così l’amore?

Nel percorso tracciato da Recalcati, tutti, docenti e discenti, genitori e figli, ognuno nella propria specificità, vive la possibilità di cadere, crollare, sbattere. Perdere. Perché quando ci si mette in gioco, specie nell’arte di educare, bisogna inciampare per accorgersi come “l’inciampo, il fallimento” rendono possibile la ricerca della verità.

 Ed ecco, quindi, l’importanza dell’ora di lezione. E’ “quello che resta della Scuola (con la lettera maiuscola, di contro ad una realtà sempre più sminuita), nel tempo della sua evaporazione”.

L’autore sottolinea anche il gravoso compito della scuola “a esercitare sempre più la funzione di supplenti di un discorso educativo che sembra non aver più sostegno né nelle famiglie né nelle istituzioni”, e che ha reso la stessa “un tribunale morale che deve sentenziare sui destini dei giovani”, che “pare più simile a quello che Pasolini ha definito ‘il nuovo fascismo della società dei consumi’”.

 Una scuola che umanizza non prevede la figura dell’insegnante padrone, giudice o che si riconosce il cattivo ruolo di chi deve cambiare. Piuttosto, si tratta di uno stile che deve mostrare, a chi si ha di fronte, un modello non da imitare, ma da mettere sempre in discussione, per provare davvero quell’erotismo, inteso come possibilità di “trasformare gli oggetti del sapere in oggetti del desiderio, in corpi erotici”: l’emozione veicolata dall’insegnante, mediante la spiegazione di un testo poetico, che non fa dormire l’alunno; una pagina di storia che ha suscitato forti preoccupazioni (anche queste sono emozioni) nella studentessa di fronte; il pianto che può suscitare l’emozione per una bella pagina di letteratura. Di questo erotismo ha bisogno l’insegnante, lo studente, il dirigente, ma anche il bidello, la madre, il padre.

Questo genera il vuoto, l’apertura di “buchi nel discorso già costituito, fa spazio, apre le finestre, le porte, gli occhi, le orecchie, il corpo”. Un mondo in cui si realizza quel “transfert”, dove anche un libro può diventare “corpo erotico” e un’ora di lezione “può cambiare una vita, imprimere al destino un’altra direzione”.  Nella certezza e consapevolezza che non è del contenuto del sapere che ci si deve preoccupare, ma della “trasmissione dell’amore per il sapere”, per la quale non esistono scuole, maestri o università specifiche ma, secondo “l’erotica dell’insegnamento”, parola e amore.

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